Ci avevano provato con il manzoniano leitmotiv del “questo matrimonio non s’ha da fare”. Ma alla fine sono state celebrate il 23 agosto scorso nel carcere bolognese della Dozza le nozze tra Francesca Brandoli, trentottenne di Reggiolo (Reggio Emilia), e Luca Zambelli, 42, di Sassuolo, Modena. E fin qui poco di strano. La particolarità di questa unione sta tuttavia nei delitti per i quali i neosposi sono stati condannati: lei deve scontare l’ergastolo per aver assassinato nel 2006 il marito con la complicità di un altro uomo, Davide Ravarelli, e lui 18 anni per l’omicidio, avvenuto sempre nello stesso anno, della moglie.

Cevenini: “Ho verificato che questo matrimonio potesse essere celebrato”. La cerimonia civile è stata officiata dal consigliere comunale e regionale Maurizio Cevenini, che al suo attivo ha una lunga esperienza di matrimoni, anche in contesti inusuali. “Da anni ne celebro in carcere, nei centri di detenzione per immigrati e in ospedale”, dice. “In prigione e nei Cpt-Cie saranno stati decine mentre molti di più quelli in corsia”. La specificità di questa unione però l’ha saputa solo quando è arrivato in via del Gomito, dove si trova il carcere.

“A quel punto mi sono informato”, aggiunge Cevenini, “ho verificato di nuovo se un’unione del genere fosse consentita dalla legge e ho appurato che, dal punto legale, era tutto a posto. Dunque ho proceduto”. Era la prima volta per il consigliere con sposi che hanno un pregresso criminale del genere. Non gli era mai capitato di unire in matrimonio due persone detenute per l’omicidio dei precedenti consorti e non nasconde una “personale contrarietà” al passo compiuto ieri. Ma la legge è legge e va rispettata. Anche a fronte delle polemiche emerse fin dallo scorso giugno, quando era stata ufficializzata l’intenzione di Brandoli e Zambelli a diventare marito e moglie con l’affissione delle pubblicazioni.

I parenti avevano chiesto al sindaco Merola di bloccare le nozze. A inizio estate i parenti delle vittime – Stefania Casolari, una barista di 36 anni di Sassuolo, e Christian Cavaletti, artigiano trentaquattrenne di Reggiolo – avevano provato a bussare a molte porte per evitare che gli assassini dei due potessero contrarre un nuovo matrimonio. E si erano rivolti anche a Virginio Merola, ai tempi da pochissime settimane sindaco di Bologna. Ma anche in quel caso, come accaduto nelle ore immediatamente precedenti la cerimonia di ieri, non era stato ravvisato alcun ostacolo formale. Ai familiari aveva risposto l’assessore agli affari istituzionali Matteo Lepore. “Ho provato profonda commozione per la vostra lettera”, aveva scritto, “e capisco il dolore che ha devastato la vostra famiglia e la vostra vita. Capisco la vostra contrarietà al matrimonio. Ma la legge non consente al sindaco di non procedere alle nozze”.

Alla cerimonia di ieri non era presente alcun parente degli sposi. A fare da testimoni due volontari del carcere della Dozza e ad assistere agenti di polizia penitenziaria e altri operatori. Quale sarà il futuro della coppia è difficile dirlo. Conosciutisi quando entrambi erano già detenuti, si erano incontrati nella sala colloqui e solo diversi mesi dopo avevano iniziato a intessere un legame sentimentale, fatto per lo più di lettere che viaggiavano da un braccio all’altro dell’istituto di pena e di brevi incontri sotto gli occhi della vigilanza.

Per Francesca Brandoli, che tentò il suicidio in carcere e che poi ha iniziato a lavorare all’interno come bibliotecaria, si prospettano almeno altri vent’anni dietro le sbarre prima di sperare nella semilibertà. Luca Zambelli, invece, a cui restano 12 anni di pena, potrà iniziare a usufruire dei benefici di legge a partire dal 2014. Dunque, conclusa la cerimonia, ognuno degli sposi ha ripreso la via della propria cella.

I delitti compiuto a colpi di armi da taglio e martello. “Si tratta di circostanze molto delicate”, afferma ancora Cevenini, “ma va detto che in base alla mia esperienza è ben più drammatico quando uno dei due coniugi esce perché non detenuto mentre l’altro resta dentro. Sono esperienze che ti toccano”. Dal punto di vista empatico meno toccante, invece, sarebbe stata la situazione di Brandoli e Zambelli proprio per i delitti che li hanno portati alla carcerazione.

Con la complicità del suo amante di allora, il 30 novembre 2006 lei uccise il marito perché i figli della coppia erano stati affidati al padre, massacrato a pugnalate e colpi di martello. Per la donna la sentenza definitiva al carcere a vita è giunta dell’ottobre 2010, con la conferma della Cassazione. L’uomo aveva invece agito da solo contro la moglie, da cui si stava separando e che aveva un nuovo compagno. Il 16 maggio 2006 l’aveva attesa e le aveva inferto 21 coltellate. Per lui, processato con rito abbreviato, si erano profilati 20 anni di carcere in primo grado, ridotti in appello a 18.

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