Il campionato italiano rischia davvero di non partire. La situazione non si sblocca. Ieri i presidenti delle squadre di serie A riuniti in assemblea a Roma per verificare se ci fossero o meno gli estremi per firmare il contratto collettivo hanno detto che così come stanno le cose, non si può fare. Traduzione: “Noi non firmiamo, perché ci sono alcuni passaggi che non ci convincono e che per questo vanno modificati”. Diciotto voti contro due. Dicono tutti no alla proposta dei calciatori, tranne Cagliari e Siena, che invece si esprimono a favore dell’accordo. Maurizio Beretta, il presidente della Lega, alza la mano e impone lo stop: da qui non si passa. Esulta il partito del pugno di ferro, che vede in Claudio Lotito la vera guida della lotta contro i calciatori-gladiatori che minacciano lo sciopero.
Sul tavolo delle trattative, intanto, la posta è raddoppiata. Fino a qualche giorno fa il principale nodo da sciogliere riguardava il tanto discusso articolo 7, che i presidenti vorrebbero interpretare come la possibilità da parte delle società di mettere alle strette i tesserati che non fanno più parte del progetto (fuori dal gruppo, anche durante gli allenamenti) e che pure rompono le scatole (vedi Pandev alla Lazio). Ora invece bisogna trovare una quadra che vada bene a tutti anche per il capitolo “contributo di solidarietà”, che i boss delle squadre considerano senza appello alcuno di competenza dei loro tesserati. Già, ma Damiano Tommasi (presidente Assocalciatori) e soci non hanno mai detto che non sarebbero disponibili a pagare il necessario. Anzi, Tommasi l’ha definito “polverone strumentale”. E poi perché fare tanto chiasso su una tassa che è ancora in discussione in Senato?
Le reazioni alla levata di scudi della Lega non si sono fatte attendere. Tommasi ha dichiarato che “le richieste della Lega sono pretestuose”. Quanto basta per concludere che “al momento non ci sono le condizioni perché si giochi”. Il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, continua a offrire appigli a entrambe le parti, ma senza grandi risultati. “Essere ottimisti è difficile, sembra un braccio di ferro senza riferimento ai contenuti dell’accordo”. Ciò detto, ha pure aggiunto che “è nostro dovere fare ogni sforzo”. Oggi si riunisce il Consiglio federale per capire se ci sono ancora margini di manovra. L’incontro potrebbe durare fino a notte inoltrata. Il messaggio è chiaro: non si esce finché la mediazione della Figc non porta a qualcosa di concreto. All’inizio del campionato di A mancano poche ore, sarà l’ultima chance, poi sarà rottura delle trattative e serrata.
Così come è stato in Spagna. Dove i calciatori hanno incrociato le gambe e hanno fatto saltare la prima giornata della Liga e della Segunda, la nostra serie B. Ma è possibile, anzi probabile, che lo sciopero dei calciatori prosegua anche nei prossimi giorni, “finché sarà necessario”, fanno sapere i rappresentanti della categoria.
Il sindacato dei giocatori spagnoli, l’Afe, fa fronte compatto. Vuole che venga trovata una soluzione al problema degli stipendi arretrati, che in questo momento grava sulle società dei campionati di vertice per una cifra pari a circa 50 milioni di euro. I tesserati che aspettano lo stipendio sono più o meno 200. Tra loro, pochi, pochissimi i big, che non avrebbero particolari noie ad attendere qualche mese prima di ricevere il bonifico. Nei guai, invece, i giocatori di seconda fascia, che chiedono il rispetto del contratto, costi quel che costi. Così, tra allenamenti posticipati, annullati e altri portati a termine giusto perché si gioca in Europa e bisogna farsi trovare pronti, la Spagna del calcio attende con il fiato sospeso che giocatori e presidenti si mettano d’accordo. La prima giornata è già saltata, la seconda (quasi certamente) pure.