Se ieri al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Bologna è stato il giorno della rivolta, oggi è quello dello sciopero della fame. A rifiutare il cibo sono le donne nigeriane rinchiuse qui perché trovate senza permesso di soggiorno e scopo di questa seconda giornata di proteste è chiedere la scarcerazione della detenuta arrestata nel tardo pomeriggio, al termine dei disordini iniziati verso mezzogiorno.
Di fatto è probabile che la donna venga riportata nel centro di via Mattei nelle prossime ore, ma la situazione appare ancora lontana dall’essere ricondotta alla normalità. Intanto perché l’innalzamento da 6 a 18 mesi del periodo di detenzione è motivo di rabbia per chi si trova rinchiuso nel Cie, uomini e donne che hanno una consapevolezza: per la maggior parte di loro, una volta usciti, si profila come unica possibilità, l’espulsione.
Ma c’è dell’altro. Non è un caso che gli scontri bolognesi siano partiti dalle donne di nazionalità nigeriana. Tra gli operatori, infatti, si sa che molte sono vittime di tratta di esseri umani e che, giunte in Italia con la prospettiva del marciapiede, non hanno ancora saldato il debito con la rete che ha organizzato il viaggio in Europa. Un debito che non si “congela” con la detenzione, ma che continua così come continuerebbero – temono le detenute – le minacce contro le loro famiglie, in caso di mancato pagamento.
Rompere tutto, però, non serve. E a questo scopo a breve dovrebbero essere inviate alcune mediatrici culturali che spieghino alle detenute che rivoltarsi peggiora solo la situazione. Tuttavia, questa condizione “conduce a una sofferenza psicologica e morale ancor prima e ancor più grave di quella fisica”, spiega ancora la deputata del Pd Sandra Zampa. La quale, di recente, ha visitato il centro dove ieri si è verificata una rivolta innescata proprio nel settore femminile e ha riscontrato – come ha ripetuto lei stessa – condizioni disumane dovute anche alla legge Maroni che ha di fatto reso inaccessibili i Cie a giornalisti e politici. Una rivolta durata diverse ore e che ha portato a contusioni per alcune delle donne che si sono scontrate a più riprese con gli agenti delle forze dell’ordine, a loro volta in qualche caso feriti.
Un arresto, mura annerite per un principio d’incendio doloso, oggetti lanciati e arredi danneggiati il bilancio di una giornata conclusasi solo verso sera, quando reparto mobile e vigili del fuoco hanno lasciato il centro all’estrema periferia di Bologna. Il giorno dopo la ricostruzione di quanto avvenuto non può limitarsi ai segni tangibili degli eventi, ma deve partire dalle motivazioni, come l’innalzamento da 6 a 18 mesi del periodo di detenzione previsto per chi viene trovato senza permesso di soggiorno e dunque cade nel reato di immigrazione clandestina.
“Chiederò al prefetto di effettuare quanto prima una nuova visita”, aggiunge Zampa, “ma quanto è accaduto ieri era del tutto prevedibile. Soprattutto per le donne, che versano in una condizione drammatica. Con 40 gradi com’è pensabile di poter sopravvivere in spazi ridotti, circondate dal cemento, in 6 o 7 per camerata avendo a disposizione nient’altro che latrine?”
Anche l’igiene personale diventa dunque un problema. “Per le donne di colore, poi, ci si mettono problemi legati alla specificità della loro pelle, soggetta a particolari eritemi”, spiega la deputata del Pd. “Sono problemi che potrebbero essere risolti con minimi beni di conforto che riducano i danni, come creme acquistabili ovunque. Per questo, al termine della mia precedente visita al Cie, d’accordo con la responsabile, abbiamo organizzato una colletta per comprare qualche prodotto che alleviasse almeno un minimo la rigidità della detenzione. Una detenzione determinata non per quello che una persona ha fatto, come nel caso del carcere, ma per quello che è, cioè uno straniero”.
Ma questa non è la situazione solo di Bologna. “A Cagliari, a Torino, in tutta Italia si verificano i fatti avvenuti a Bologna”, sostiene Jean-Léonard Touadi, giornalista originario del Congo ed eletto in parlamento nel 2008. “Prepariamoci perché siamo solo all’inizio”, aggiunge riferendosi ad altre rivolte, determinate tutto dallo stesso motivo, il periodo di detenzione triplicato. “Ovunque è la stessa situazione: nessuna programmazione nella gestione dei Cie, ammucchiamento delle persone e una promiscuità indegna”, aggiunge il deputato che prima della chiusura estiva aveva presentato una proposta di legge composta da un solo articolo che chiede di abrogare il reato di immigrazione clandestina.
“Quel reato”, spiega Touadi, “è alla base di tutto: mancanza di diritti, assoggettamento alla discrezionalità di funzionari impreparati, totale anarchia delle regole. Diciamolo chiaramente: i Cie, in Italia, sono luoghi che ci si aspetterebbe di trovare nei Paesi autoritari, non in una sedicente democrazia avanzata. Invece gli immigrati che qui vengono reclusi si trovano in condizioni peggiori rispetto a quelle che hanno lasciato fuggendo dalla loro nazione d’origine”.
E il deputato Pd aggiunge in altro elemento. “In queste settimane si è fatto giustamente un gran parlare di carcere. Ma l’attenzione di media e opinione pubblica sui Cie è bassissima, quasi nulla. Invece i due argomenti dovrebbero essere imprescindibili perché, se volessimo stilare un’assurda gerarchia della brutalità, quello dei centri di identificazione ed espulsione sarebbe il più infernale dei gironi”.