Ho scritto che Dsk si era servito del corpo di una cameriera non diversamente da come aveva appena fatto con i sanitari, nel bagno della sua suite. Non ho cambiato opinione. I segni lasciati sul sesso di Nafissatou Diallo, i riscontri clinici, sommati all’attitudine violenta dell’aggressore, testimoniata da precedenti denunce, mi sembravano e mi sembrano più che sufficienti per una condanna.
Non alla gogna mediatica o all’ergastolo o all’evirazione chimica (non credo nelle punizioni esemplari), ma a un equo conteggio dei danni: pagare e sparire. Una punizione pedagogica: non si è mai né troppo vecchi né troppo ricchi per imparare una lezione elementare come quella del rispetto verso un altro essere umano. Una punizione terapeutica: per quanto di malato c’è negli uomini che non possono fare a meno di saltare addosso a una donna, quando “gli tira” (chi c’è c’è, basta che cammini).
Invece no: zero punizione. La sentenza di assoluzione va letta così: se da una parte c’è un maschio alfa, ma veramente alfa, non te lo metti contro, per riconoscere i diritti di una femmina omega. Cane non mangia cane. Se fai parte dell’élite ti scatta lo spirito di clan, se non ne fai ancora parte, premi per entrarci. Che te ne frega di una “serva negra” (l’ho sentito con le mie orecchie, in un bar di Roma, a maggio) che non è neanche così furba da recitare il ruolo della vittima come sta scritto nel copione del populismo?
Avrebbe dovuto essere casta e incensurata, in regola col permesso di soggiorno e magari bellissima. La nipote prediletta dello zio Tom. Invece è come sono spesso le vittime: fragile, ricattabile, sporcata da una vita difficile. Più facile fare il tifo per il colpevole. Così cool, così smart, così elegante. Certo che tornerà a fare politica. Aver offeso una donna, averla violentata ridicolizzata e distrutta, è mai stato considerato un buon motivo per non votare un uomo?
Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2011