In Gran Bretagna calano i consumi di generi alimentari penalizzando un comprato ritenuto fino ad oggi sostanzialmente immune dalla crisi. A Madrid si rivedono al ribasso le stime di crescita. Da più parti nel Continente, insomma, emergono nuovi presagi di recessione
«Ho lavorato durante diverse fasi di recessione: ma questa è di gran lunga la peggiore». È lapidario, nelle sue dichiarazioni al Telegraph, Peter Marks, direttore di Co-Op, quinta catena di supermercati britannica per dimensioni. Per la prima volta, spiega, «le persone spendono meno denaro in generi alimentari»: vale a dire per consumi che finora erano considerati “a prova di crisi”. Il che significa che, da parte loro, gli operatori della distribuzione si trovano a tagliare radicalmente i costi.
Di norma circa un quarto dei prodotti è in promozione, ma attualmente tale percentuale è salita fino al 40%. E, spiega Marks, «non si tratta più di “prendi due, paghi uno”, ma di “prendi tre, paghi uno”». Questi, conclude, sono «i sei mesi più difficili che ho passato in quarant’anni di attività». Mesi che seguono la scia di una recessione iniziata nel 2008 e che non vede ancora la fine. Per Co-Op nel primo semestre di quest’anno i profitti lordi sono scesi a 230,8 milioni di sterline: le vendite si sono attestate a 6,89 miliardi di sterline, mentre nello stesso semestre del 2010 erano pari a 2,95 miliardi. Le vendite di cibo ammontano a una cifra inferiore del 4,6% rispetto all’anno scorso.
Oltre agli alimentari, prosegue il Telegraph, la crisi colpisce anche altri prodotti di uso primario. È in difficoltà Topps Tiles, catena di circa duecento negozi di piastrelle e mattonelle da muro e pavimento. I suoi introiti sono sprofondati del 10,4% nelle prime sette settimane del quarto trimestre. Motivo per cui l’azienda (che attualmente dà lavoro a 1.600 persone) potrebbe essere costretta a operare alcuni licenziamenti. Nel frattempo, calano le quotazioni azionarie di Clinton Cards, JJB Sports, Marks & Spencer e Kingfisher.
Dal Regno Unito alla Spagna, lo scenario resta cupo: i dati ufficiali riportati da Reuters dimostrano che nel secondo trimestre di quest’anno la crescita economica iberica, con un +0,2% del Pil su base trimestrale, è addirittura rallentata rispetto al primo quarto dell’anno (che vedeva un +0,4%). E, stando agli analisti, per il resto del 2011 non sono all’orizzonte grossi cambiamenti. Anzi: le loro previsioni (+0,8% del Pil) rivedono addirittura al ribasso quelle del governo, che puntava su un +1,3% annuo. E che, in presenza di una crescita che langue, avrà sempre più difficoltà a far fronte al deficit di bilancio.
D’altronde, questo periodo ha visto vacillare quelli che finora si erano affermati come i principali pilastri della crescita della nazione iberica. L’edilizia ha subito i pesanti contraccolpi dell’esplosione della bolla immobiliare (a seguito di un boom durato un decennio), che a sua volta ha messo in crisi le casse di risparmio nazionali, affossate dai mutui tossici. E il conseguente e prolungato credit crunch non ha certo aiutato le imprese. Finora, lo spettro della recessione (che sarebbe la seconda nel giro di due anni) era stato tenuto lontano dalla esportazioni e dalle spese delle famiglie, rimaste solide. Ma, se la disoccupazione è a un tasso altissimo (circa il 21%) e le entrate nette delle famiglie calano, ciò significa che per le spese si intacca la quota destinata al risparmio. Situazione che – è evidente – non risulta sostenibile nel lungo termine.
Anche per le esportazioni non si prospetta un futuro roseo: il 53,4% dell’export iberico è destinato ai Paesi dell’eurozona, le cui difficoltà sono sotto gli occhi di tutti. Una commistione di elementi che, soprattutto se non si troverà una via d’uscita alla crisi europea, potrà tradursi solo in una parola: recessione. Un fenomeno che, come suggeriscono i dati dell’ultimo periodo, potrebbe ramificarsi rapidamente in buona parte del Continente.
di Valentina Neri
(Redazione Valori)