Dal 26 al 28 agosto e dal 2 al 4 settembre a Ro in provincia di Ferrara la decima edizione di una sagra paesana che fa della semplicità il suo piatto forte. Aringa affumicata, polenta e minestra di fagioli per scacciare alluvioni, carestie e malaria. Come tradizione delle genti del Po vuole.
A Ro, Comune della Provincia di Ferrara sulle rive del Po, aggiungere buchi alla cintura era prassi quotidiana – almeno fino al XIX° secolo. Il grande fiume per lungo tempo ha fatto il bello e il cattivo tempo per le popolazioni di quella zona. Innumerevoli alluvioni e periodiche esondazioni devastavano coltivazioni, decimavano armenti e uccidevano cristiani. Si poteva morire in diversi modi: per annegamento, per inedia, per malattia – nella maggior parte febbri malariche dovute alla successiva stagnazione delle acque. Molti, a dover scegliere, preferivano la prima, sicuramente più breve. Arrivò poi l’ingegneria idraulica che, con la tecnica e il duro lavoro degli scarriolanti prima e delle ruspe poi, mise fine allo strapotere del dio-fiume. Nonostante l’infinità di acqua passata sotto, e sopra, i ponti tutta quella miseria ha attecchito nella memoria di quelle genti. Ecco allora il bisogno di catarsi, ecco La Sagra della Miseria.
La Sagra nasce una decina di anni fa, è a cura della Società Sportiva Roese, patrocinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ro e dal Centro Studi Territorio – Ambiente Riccardo Bacchelli e si tiene tradizionalmente l’ultima settimana di Agosto e la prima di Settembre. Le prossime date di quest’anno: dal 26 al 28 Agosto e dal 2 al 4 di Settembre. La Miseria dei tempi che furono rimane però solo nel nome; catarsi sì, ma ironica. Prendersi gioco di questa vecchia nemica è la maniera in cui i roensi hanno superato il trauma. Ed è anche un rito scaramantico, una formula magica, per scongiurare il possibile ritorno del flagello.
I piatti proposti agli avventori nei giorni della festa sono quelli che in passato hanno assicurato la sopravvivenza della povera gente che viveva sulle rive del fiume ai tempi dei mulini. Ingredienti, aromi e sapori sono veraci e genuini; preparati e abbinati secondo tradizione. La semplicità e la sostanza degli elementi tornano ad essere pratica culinaria. Il senso del gusto proietta i commensali in atmosfere di tempi creduti persi. Piatti una volta considerati poveri come l’aringa affumicata, la polenta e la minestra di fagioli sono le specialità della Sagra della Miseria.
Anche la natura circostante vi farà sentire in un altro luogo. Il Po ora scorre, quasi sempre mansueto, tra argini e golene con alti pioppeti come guardie all’intorno. Potrete passeggiare in piccole oasi caleidoscopiche incastonate in un meraviglioso parco perifluviale. Molte anche le fattorie didattiche e le antiche ville padronali da visitare. Consigliata una tappa al mulino galleggiante ancora funzionante, vero rappresentante dello spirito del luogo antecedente l’intervento del Genio Civile – è ancora ormeggiato vicino all’attracco fluviale di Ro. Mulino che ci piace immaginare essere quello di Coniglio Mannaro, personaggio che nella seconda parte de Il Mulino del Po (celebre romanzo storico di Riccardo Bacchelli ambientato proprio in queste zone) costruisce una fortuna grazie ad affari illeciti finendo poi in miseria a causa di un’esondazione del Po.
I prezzi del menù non saranno proprio quelli di Palazzo Madama, ma si avvicinano e non bisogna esser parlamentari per ordinare. Se la Sagra della Miseria dileggia l’inedia che fu, speriamo allora di veder presto la Sagra della Crisi. Ma per ora le ricette sembrano mal ideate e la cucina pullula di Conigli Mannari. Chissà che il Grande fiume non torni per portarseli via.
Matteo Poppi