Il ‘fantasma’ di Muammar Gheddafi è ubiquo. E questo complica non poco la caccia dei ribelli nelle ore cruciali della conquista del Paese. (leggi la cronaca di ieri) Oggi gli insorti hanno nutrito a lungo la certezza che il rais fosse scappato in Algeria, dopo il passaggio di sei Mercedes, avvistate ieri alla frontiera.

Il convoglio di blindati ha acceso i sospetti su uno di quei Paesi che non hanno riconosciuto il Consiglio nazionale transitorio degli insorti (Cnt), oltre a non aver mai chiesto un passo indietro del colonnello. “Forse a bordo c’è Gheddafi”, hanno detto i ribelli all’agenzia egiziana Mena. “Categorica”, invece, la smentita di Algeri.

Ma c’è stato anche chi, come riporta il britannico Daily Mail, ha immaginato il dittatore già a riposo nello Zimbabwe, dove sarebbe giunto a bordo di un aereo messo a disposizione dal ‘collega’ Robert Mugabe. Speculazioni degli oppositori del regime di Harare, che hanno raccontato di aver visto le sue guardie del corpo in giro.

A una settimana dall’entrata dei ribelli nella capitale intanto – con l’insurrezione nella notte di sabato scorso – l’Onu vede l’inizio di nuova fase nella campagna libica e immagina l’invio di forze di polizia internazionale. Mentre la Nato ha continuato a bombardare la città d’origine del ‘nemico’, Sirte, dove pure il rais era stato segnalato fino a ieri. Anche i ribelli, che pure hanno segnato oggi diverse conquiste, come l’aeroporto della capitale e diverse roccaforti prima in mano ai lealisti, non hanno mollato la presa sui blindati a sud di Tripoli, convinti di trovare Gheddafi, e magari qualcuno dei suoi figli.

Persa ogni illusione, è stato poi il capo del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, in una conferenza stampa a Bengasi, a esortare il colonnello e i fedelissimi a “consegnarsi”. La promessa è quella di “processi equi” per lui e i suoi gerarchi. Diversamente, ha aggiunto, correranno il rischio di “esecuzioni sommarie”.

Dalla capitale orientale della rivolta, è arrivato anche un appello per Tripoli, ormai in piena “emergenza umanitaria”. La nuova fase in cui entra il popolo libico, sul campo, e nella capitale, è particolarmente difficile e pericolosa: la città è preda dei ‘raptus’ di una disordinata guerriglia fra le due parti. Con l’avanzata degli insorti, gli attacchi dei lealisti sono diventati imprevedibili, così come il fuoco dei cecchini. Il disordine tiene insomma in scacco la capitale, mentre i suoi abitanti restano al buio, senz’acqua e senza scorte di cibo, fra migliaia di cadaveri, lasciati a cielo aperto a decomporsi, e malati senza le risorse necessarie.

“Mancano i chirurghi, manca il materiale medico, mancano le cure di prima necessita”, è l’allarme di Jalil, mentre continuano i macabri ritrovamenti di cadaveri. Dopo gli oltre duecento corpi rinvenuti ieri nell’ospedale di Abu Salim, isolato per una settimana dai cecchini gheddafiani, oggi in un deposito di Tripoli sono stati trovati 50 corpi trivellati di colpi, e poi bruciati. Si tratterebbe di civili uccisi in un’esecuzione di massa, l’ennesimo episodio di una terrificante serie di regolamenti di conti.

E nella capitale libica si trovano ancora i tre italiani liberati dopo un mese di detenzione nelle mani dei miliziani di Gheddafi. Si tratta del 27enne Antonio Cataldo di Chiusano di San Domenico (provincia di Avellino), del 42enne genovese Luca Boero e del suo coetaneo Vittorio Carella, di Peschiera Borromeo (Milano). Tre contractors che hanno raccontato di essere entrati in Libia dal confine tunisino e di essere stati subito arrestati dalle milizie del colonnello libico. I tre hanno anche raccontato di aver subito duri pestaggi in carcere perché ritenuti “spie” straniere. Il loro rilascio è avvenuto la settimana scorsa quando gli insorti sono entrati nella prigione della Capitale per liberare i detenuti. “Il loro rientro – ha dichiarato il console italiano di Bengasi, Guido de Sanctis, “doveva avvenire 48 ore fa”. Più probabilmente torneranno in Italia nei prossimi giorni insieme ai giornalisti stranieri liberati ieri dopo cinque giorni di soggiorno obbligato all’hotel Rixos.

Se la Nato ha continuato a bombardare obiettivi militari a Tripoli, Ras Lanuf e Sirte, i ribelli hanno avuto la meglio contro alcune ‘sacche di resistenza’ dei lealisti: hanno conquistato definitivamente l’aeroporto di Tripoli e il sito di Qasr Ben Ghasher, utilizzato dai miliziani di Gheddafi per lanciare missili Grad e colpi di artiglieria proprio in difesa dello scalo della capitale. In serata è caduto anche il villaggio di Jmayl, dopo uno stallo durato 5 giorni in scontri con i miliziani, che oggi invece si sono liberati. La cittadina a ovest di Tripoli – sulle cui mura si leggeva lo slogan ‘Solo Dio e Muammar’ – ha un valore simbolico importante, essendo luogo di nascita dell’ormai ex premier del regime, Baghdadi al Mahmoudi.

Nonostante la tensione altissima, il segretario generale dell’Onu Ban-Ki-Moon ha parlato con chiarezza di una nuova fase, mentre il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen ha espresso soddisfazione per la “vittoria del popolo libico”.

In Libia ora è “necessario mettere fine al conflitto e ristabilire ordine e stabilità”, ha detto Ban secondo il quale la comunità internazionale dovrebbe ora inviare una forza di polizia, tenendo presente che la Libia “è sommersa di armi leggere”. L’inviato speciale dell’Onu, Ian Martin, in un rapporto confidenziale, ha ipotizzato il dispiegamento in Libia di 200 osservatori militari, ma per ora non è previsto l’invio di caschi blu.

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