Con gli occhi appiccicosi di sonno guardo quella mail che mi comunica, com’era prevedibile, che il mio volo da Charlotte, nel North Carolina, a New York è stato cancellato. Sono le sette del mattino e la mia vacanza italiana è finita ed è ora di tornare a casa. Quella casa che ora sembra impossibile da raggiungere.
L’addetta dell’United Airways non riesce ad offrirmi nessuna soluzione prima del primo settembre. Decido allora di arrivare a Charlotte e poi si vede. Quando ormai sono già pronta all’idea di bivaccare per qualche giorno all’aeroporto di Charlotte in attesa di un volo per New York, mi chiedono se voglio andare a Philadelphia. Accetto al volo, più vicina a New York.
L’atterraggio è tutto “ballato”, nel silenzio totale dei passeggeri che, quando l’aereo si arresta, esplodono in un applauso enorme. Fuori piove e l’aeroporto è semi deserto. Non ho impiegato mai così poco per le procedure d’ingresso. Sono tutti gentili e lo sono ancora di più quando sentono che sto provando ad andare a New York: mi guardano tutti sconsolati e mi ripetono “la città è chiusa, non si entra e non si esce“. E, invece, trovo un treno, il penultimo della giornata, prima che anche la stazione venga chiusa per Irene. Pochi passeggeri e tutti provenienti da voli cancellati a causa di Irene.
L’arrivo a New York conferma le immagini di una città semi fantasma, infastidita da una pioggerella e poco vento. Non ho un ricordo simile di New York: negozi chiusi, niente mezzi di trasporto e pochissime persone che si dirigono, presumibilmente, verso casa. Il sindaco ha avvertito di non uscire, in particolare domenica mattina quando il vento sarà più forte e allora potrebbero verificarsi incidenti più facilmente. La città ha aree di semioscurità, si cerca di mantenere il consumo basso per evitare un più facile black out .
E inizia l’attesa. Mentre andiamo a dormire, la pioggia batte insistente e il vento aumenta. Forse non accadrà nulla, o perlomeno nulla di troppo grave. Le precauzioni sono state prese tutte. Per alcuni anche troppe. E, purtroppo, ora non si può far altro che aspettare