“Sarà una manifestazione molto equilibrata perché, vista la situazione, siamo moderatamente ottimisti: il governo si è impegnato a rivedere i tagli”, sosteneva ieri Osvaldo Napoli, vicepresidente dell’Anci e deputato del Pdl. Quel che intende dire l’onorevole berlusconiano è che si è diffusa la convinzione che la sforbiciata inserita da Berlusconi e Tremonti nella manovra verrà attenuata durante il passaggio parlamentare: i più ottimisti credono che la buona novella possa essere annunciata già a manifestazione in corso. Proprio nelle stesse ore, infatti, ad Arcore il Cavaliere riceverà Bossi e Tremonti per raggiungere l’accordo su alcuni emendamenti da presentare in Senato proprio sui tagli a comuni e regioni e sul contributo di solidarietà (alle 15, peraltro, una delegazione dell’Anci dovrebbe incontrare il ministro Maroni).
Discorso diverso invece per i piccoli comuni e le province: nel decreto per i primi si prevede la cancellazione di quelli sotto i mille abitanti, per le seconde sotto i 300mila. Siccome, però, il governo non aveva previsto risparmi da questa operazione eliminare quella parte del testo o modificarla è un fatto di pura volontà ed è da considerarsi già fatto: i piccoli comuni, alla fine, dovrebbero salvarsi, seppure accorpando i servizi per quelli sotto i 3mila abitanti; per le province invece la linea è “o abolirle tutte o niente” e, siccome la Lega è contraria, niente (o meglio un ddl costituzionale, che è uguale).
Quanto a tagli e contributo di solidarietà, invece, la faccenda è parecchio complicata, come spesso succede non appena si esca dalla chiacchiera estiva per passare ai numeri. Questi due provvedimenti, infatti, sono circa il 25% della manovra da 55 miliardi approvata dal governo a ferragosto: a 9 miliardi tra 2012 e 2013 ammontano i mancati trasferimenti alle autonomie locali e in 674 milioni l’anno prossimo e 1,5 miliardi nei due successivi è calcolato il gettito della superIrpef. Insomma, come si vede, la mazzata vera è per gli enti locali, anche perché i tagli di ferragosto vanno a sommarsi a quelli previsti dalle manovre del 2010 e di luglio 2011.
A regioni ed enti locali – a regime, cioè nel 2013-2014 – sono stati sottratti in tutto oltre 15 miliardi di euro, l’11% del costo dell’intero sistema delle autonomie: le regioni “normali” avranno 6,1 miliardi in meno, le regioni a statuto speciale tre miliardi, i comuni 4,5 e le province 1,3 miliardi. All’importo rilevantissimo si somma la velocità dei risparmi previsti: l’ultima manovra, infatti, sottrae già dal prossimo gennaio 1,7 miliardi ai comuni, 0,7 alle province, due miliardi alle regioni speciali e 1,6 a quelle ordinarie (da sommare ai tagli del 2010 ovviamente). Per sindaci e governatori la strada è obbligata: taglio ai servizi e\o aumento delle tasse locali. Uno studio del Sole 24 Ore calcola il danno fiscale in mille euro a famiglia in media nell’ipotesi peggiore e, se le parole hanno un senso, il governo ha già scelto questa via: nel decreto è prevista per comuni e regioni proprio la possibilità di aumentare le loro addizionali. Non ci sono solo i mancati trasferimenti a fare sfracelli, ha spiegato però Roberto Formigoni, vanno calcolati anche i vincoli del patto di stabilità interno: “La somma complessiva – ha spiegato il presidente della Lombardia – ammonta a 104,75 miliardi, di cui 25,5 a carico dello Stato (24,34%), 60,45 a carico delle Regioni (57,7%), 4,1 a carico delle Province (3,91%) e 14,7 a carico dei Comuni (14,03%)”.
Ecco perché i sindaci – e qualche governatore – sono oggi in piazza a Milano ed ecco perché trovare un accordo che recuperi una decina di miliardi non sembra così facile. Ad Arcore ci sono sul tavolo sostanzialmente tre ipotesi: esclusi gli interventi sull’età pensionabile, Bossi è irremovibile, restano una rimodulazione del contributo di solidarietà (solo il 5% e sopra i 200mila euro), una sorta di patrimoniale anti-evasione proposta dalla Lega e l’aumento dell’Iva. L’idea del Carroccio è di far pagare una sorta di extra fino al 5% dell’intero patrimonio a chi abbia proprietà incompatibili col suo 730: secondo Calderoli e Giorgetti se ne possono ricavare 5 o 7 miliardi, ma ad alcuni tecnici di area PdL il gettito pare aleatorio. Dall’aumento dell’Iva dal 20 al 21% – lasciando immutate le aliquote del 4 e 10% – potrebbero arrivare invece fino a cinque miliardi. E qui però c’è un problema: quei soldi servirebbero – a stare alla delega fiscale – per abbassare l’Irpef (le famose tre aliquote), senza contare che l’Iva già aumenterà per effetto della falce che Tremonti ha usato sulle agevolazioni, detrazioni e deduzioni fiscali. Per questo nella maggioranza continua la battaglia interna e per questo la seggiola di Giulio Tremonti – contrario a qualsiasi modifica radicale della sua manovra – è assai pericolante.