Essendo fatti sconosciuti ai più, sento il dovere – essendo l’unico che ne parla pubblicamente (e non a caso in un blog de ilfattoquotidiano.it) e visto anche il grave momento di crisi – di tornare a parlare degli stipendi dei magistrati del Tar e del Consiglio di Stato.

In un recente articolo apparso sul Corriere, Milena Gabanelli e Bernardo Iovene hanno nuovamente rimarcato, dopo averlo fatto nella trasmissione Report, lo scandalo dei doppi stipendi di magistrati e dirigenti “fuori ruolo”. Quanto ai magistrati amministrativi, si tratta di colleghi che, esonerati dalle funzioni giurisdizionali per svolgere altri incarichi (capi di gabinetto dei Ministeri, componenti di Authority, segretari generali di importanti istituzioni, ecc.) continuano a percepire anche lo stipendio da magistrato, comprensivo della indennità giudiziaria, senza svolgere tale lavoro.

Uno scandalo, come aveva già evidenziato la presidente di sezione del Tar del Lazio Linda Sandulli in un’intervista rilasciata proprio a Report.

Ma oggi i magistrati amministrativi sembrano voler andare ancora oltre: vogliono il doppio stipendio, ma senza fare nemmeno il doppio lavoro. Come? Attraverso un meccanismo “fittizio”, in cui si crea un lavoro “standard”, retribuito normalmente, e un lavoro “straordinario”, retribuito a parte.

Di fronte a un simile progetto, già allo studio dell’organo di autogoverno presieduto da Pasquale De Lise, ben 40 magistrati del Tar (sui circa 300 in servizio) – tra i quali molti presidenti – hanno preso, responsabilmente, una dura posizione contraria e, con argomentazioni che ho fatto in buona parte mie in un recente post, hanno contestato – anche per l’impatto che avrebbe avuto nell’opinione pubblica – l’opportunità di introdurre il formale divieto di celebrare le udienze per i tre mesi (sic!) che vanno da metà luglio a metà ottobre (come oggi peraltro già nella prassi di alcuni Tar) e l’inopportunità di ridurre ulteriormente i carichi di lavoro (di circa il 15%), introducendo uno “straordinario” in caso di deposito di un numero di sentenze maggiori a quelle predeterminate.

In sostanza i magistrati amministrativi, secondo il progetto, sarebbero vincolati a depositare un numero di sentenze non superiore ad un massimo per ogni trimestre, ma avrebbero il potere di chiedere una maggiore assegnazione di cause ed il correlato diritto a un compenso in più, per fare… nient’altro che il proprio lavoro! Va sottolineato anche che il numero massimo di sentenze “standard” non potrebbe essere superato in alcun modo: in caso di superamento il magistrato amministrativo avrebbe diritto a non lavorare (o lavorare meno) per i tre mesi successivi.

Allora, il punto è questo: se un magistrato amministrativo può lavorare più di quanto fa (ed è bene rammentare che i giudici del Tar e del Consiglio di Stato hanno il dovere di andare in ufficio… solo due volte al mese), è giusto che sia pagato per fare il proprio lavoro una volta e basta. Se invece deve essere trattato come un normale pubblico impiegato, con un lavoro ordinario ed un possibile straordinario, allora deve avere orari fissi e timbrare il cartellino, e la produttività “normale” deve essere calcolata in base a un serio e lungo studio, che consideri (in un arco di tempo idoneo) quanto i magistrati amministrativi producono mediamente in una normale giornata lavorativa di 8 ore. Come tutti, senza inseguire privilegi che mal si conciliano con il delicato ruolo istituzionale del magistrato.

Stupisce, oltre alla posizione favorevole dell’Anma e alla silenzio della presidente Sandulli, che il Governo Berlusconi, il quale sinora ha sempre ridotto i mezzi a disposizione della giustizia penale – privandola addirittura dell’indispensabile -, abbia creato un simile strumento normativo (il famigerato art. 16 del collegato al codice del processo amministrativo) per la giustizia amministrativa (che presta già numerosi “fuori ruolo” alla politica…), rimettendone peraltro l’applicazione concreta direttamente agli interessati, per il tramite del presidente del Consiglio di Stato!

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