Per tutti gli imprenditori del movimento antiracket la data del 29 agosto segna uno spartiacque. Da quel giorno Libero Grassi è diventato il nostro punto di riferimento e la ragione di un impegno. Quella mattina del 1991, con la violenza del piombo mafioso, si è avuta una conferma della posta in gioco: per un imprenditore affermare di voler lavorare in pace e in libertà può comportare la morte. Per me, in particolare, ha significato l’assunzione di una nuova e non prevista responsabilità.

Dal giorno dei suoi funerali, ogni anno, essere a Palermo era come confermare un giuramento di fedeltà a quei valori per i quali Libero non esitò a porsi nel rischio estremo. Tutt’altro che un rito. Essere lì alle nove in punto, per abbracciare Pina, Alice, Davide, assistere in silenzio all’affissione del manifesto scritto col pennarello come viva testimonianza rinnovata anno dopo anno, veder crescere il nipote, incontrare le autorità e gli amici della famiglia. E ogni anno sempre con Anna e Umberto. Per noi era un misurarci, un confrontarci con la tragedia. Da meno di un anno era nata la prima associazione antiracket a Capo d’Orlando e, fin da subito, da quel 29 agosto, ci fu chiara la prospettiva del rischio: da quel momento, ogni azione doveva servire a evitare altri drammi. Questo significava il confronto con Libero Grassi, impedire in ogni modo che altri potessero trovarsi in quelle condizioni; l’associazionismo antiracket, da questo punto di vista, nella misura in cui ha messo al riparo chi denunciava, si è rivelato una risposta efficace.

GUARDA LA FOTOGALLERY

La misura che cercavamo, invece, era segnata da qualcosa, in origine in quella città, disperante. Per capire questi venti anni di lotta al racket bisogna partire da Palermo e da quei funerali. Ricordo come fosse ieri il corteo funebre uscire dalla Sigma accompagnato dal gesto di Davide, per percorrere le strade della città sino a giungere in via Alfieri, innanzi ai negozi aperti e all’indifferenza generale degli operatori commerciali. Da quel momento divenne per noi una sfida continua far nascere anche a Palermo un’associazione antiracket capace di raccogliere l’impegnativa eredità. Per più di quindici anni, periodicamente, cercavamo di coinvolgere alcuni imprenditori, ma senza successo; organizzavamo manifestazioni nazionali, ma nulla si muoveva. Niente di niente. Solo qualche rara denuncia, niente di più. Per oltre quindici anni. La città e, soprattutto, gli imprenditori palermitani, avevano rimosso l’esempio di Libero, troppo eversivo per la tranquillità delle cattive coscienze della borghesia cittadina. Eversivo perché chiamava direttamente in causa ognuno dei commercianti, degli artigiani, degli industriali, dei professionisti; non li chiamava in causa astrattamente, ma nel concreto della loro vita quotidiana: Libero Grassi aveva detto no al pizzo e voi, come se nulla fosse, dite sì ogni giorno. Eversivo perché obbligava tutti a guardarsi allo specchio per prendere atto di non essere imprenditori, perché, come Libero ci ha insegnato, chi accetta i condizionamenti della mafia non può dirsi imprenditore.

Nulla cambiava. La mattina del 29 agosto, quando ci riunivamo davanti alla casa della famiglia Grassi, era un rarità incontrare qualche operatore economico palermitano, mentre non sono mai mancati quelli provenienti da altre parti d’Italia. Alla fine, per noi, la data del 29 agosto è diventata la cartina al tornasole della vitalità di un’esperienza. Perché il nome di Libero Grassi “circolava” assai di più altrove che a Palermo. Non a caso le prime associazioni antiracket nacquero nella Sicilia orientale, e poi in Calabria, in Puglia, infine a Napoli. Per me era un grande evento ogni anno presentare a Pina e ai figli di Libero una nuova associazione e nuovi commercianti che avevano denunciato.

Al primo anniversario erano presenti Paolo Caligiore con i colleghi di Palazzolo Acreide, Tanino Zuccarello a guidare la delegazione dell’associazione di Sant’Agata Militello, Pia Giulia Nucci con gli imprenditori di Catania; tutti assieme all’associazione di Capo d’Orlando con Sarino Damiano. A queste presenze si aggiungevano anno dopo anno tanti altri colleghi provenienti da ogni parte d’Italia: Maria Teresa Morano e Maria Concetta Chiaro con l’associazione di Cittanova, la prima della Calabria; Rosa Stanisci, il coraggioso sindaco di San Vito dei Normanni, con la prima associazione pugliese; Nunzio Di Pietro da Francofonte, Bruno Piazzese da Siracusa, Mario Caniglia da Scordia, Antonio di Fiore da Messina, Pippo Scandurra da Patti. Con loro, tanti altri come loro, imprenditori che avevano testimoniato nelle aule di giustizia e dato vita alle associazioni antiracket.

Finalmente, dal 2002, anche in Campania nascono le associazioni antiracket: così all’alba, col “postale” proveniente da Napoli, arriva a Palermo Silvana Fucito accompagnata da Rosario d’Angelo, Salvatore Cantone e altri colleghi. In seguito l’associazione si costituisce nella difficilissima Gela e, da allora, non c’è anno che Renzo Caponetti, insieme a Franca Giordano, la vedova di Gaetano ucciso dalla mafia nel 1992, non stia lì con noi. Tra tutti questi non possiamo non ricordare la sofferenza di Enzo Lo Sicco che, per avere denunciato gli uomini di Cosa nostra, dovette abbandonare Palermo e vivere lontano con la sua famiglia.

Poi c’è stato, prima, il 2004 con la straordinaria esperienza di Addio Pizzo e, nel 2007, finalmente, la nascita dell’associazione antiracket Libero Futuro. Per la prima volta un gruppo di imprenditori, inizialmente ristretto, ma destinato a diventare sempre più numeroso, ha realizzato, in quella che era sempre apparsa come la città “impossibile”, ciò che in tanti altri luoghi altri imprenditori avevano già fatto: costituirsi in associazione antiracket. Dopo venti anni una cosa può essere affermata con certezza: dal 1991 abbiamo sempre detto che se Cosa nostra con l’omicidio di Libero Grassi pensava di bloccare la crescita di quel movimento che aveva preso avvio da Capo d’Orlando, questo obiettivo, benché raggiunto nell’immediato a Palermo, non è stato però conseguito nel resto del Paese; anzi, lontano dal radicamento mafioso della Sicilia occidentale, si è ottenuto un effetto opposto: nel nome di Libero sono nate associazioni, tante, in provincia di Messina, di Siracusa, di Ragusa, di Catania e, poi ancora, in Puglia, Calabria, Campania. Adesso, per fortuna, anche a Palermo ci sono commercianti che non hanno più paura la mattina di guardarsi allo specchio, anche qui nel nome di Libero si è più liberi. In tanti ma non tutti.

di Tano Grasso (presidente onorario della Federazione antiracket italiana)

da “Libero Grassi. Cara mafia, io ti sfido”

Sceneggiatura di Laura Biffi e Raffaele Lupoli
Disegni di Riccardo Innocenti
Illustrazioni di Beatrice Gozzo Collana Libeccio, 150 pagine, 15 euro

La collana Libeccio è un progetto della casa editrice Round Robin e dell’associazione antimafia daSud

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Un figlio a tutti i costi anche per gli uomini

next
Articolo Successivo

Rocco e i suoi fratelli
di carta

next