Militari intervengono durante una manifestazione contro gli insediamenti israeliani a Hebron

L’operazione è stata battezzata «Semi d’estate» e secondo il quotidiano israeliano Haaretz è in corso già da qualche giorno. Le Israel Defense Forces (Idf), il nome ufficiale delle forze armate israeliane, hanno iniziato a preparare i coloni e gli abitanti degli insediamenti in Cisgiordania a fronteggiare i «disordini di massa» che potrebbero verificarsi a ridosso della richiesta palestinese di riconoscimento da parte dell’Assemblea generale dell’Onu prevista per il 20 settembre.

Haaretz scrive che l’esercito ha «individuato una precisa linea rossa» per ogni insediamento. Se quella linea fosse superata dai palestinesi, i soldati saranno autorizzati a sparare «ai piedi» dei manifestanti. I coloni e gli abitanti degli insediamenti, inoltre, hanno ricevuto gas lacrimogeni e granate assordanti per disperdere eventuali cortei.

Secondo il documento riservato del ministero della Difesa ottenuto da Haaretz, l’assunto dietro la nuova strategia è che il voto favorevole dell’Assemblea generale dell’Onu al riconoscimento dello Stato di Palestina, potrebbe causare una sollevazione, «che comprenderà disordini di massa». Bersaglio delle manifestazioni potrebbero essere «snodi stradali, comunità israeliane e centri di istruzione, tentativi di danneggiare i simboli del governo israeliano». La previsione si spinge fino a ipotizzare «sparatorie o anche atti terroristici» ma «in ogni scenario – assicura il documento – il livello di preparazione è alto per fronteggiare incidenti lungo le barriere (il Muro di separazione, ndr) e i confini israeliani».

L’addestramento di alcuni gruppi di coloni fa parte del piano. Il ministero della Difesa pensa che i coloni, i cui insediamenti oltre la Linea verde del 1967 sono considerati illegali in base alla legge internazionale e sono visti come il principale ostacolo alla definizione del negoziato, siano uno dei bersagli più esposti. D’altra parte, le aggressioni dei coloni più oltranzisti hanno spesso causato la dura reazione dei palestinesi. In due basi, quella di Shiloh e quella di Lachish, l’esercito ha riunito i «responsabili della sicurezza» degli insediamenti, per impartire istruzioni e stilare un piano per ogni colonia. A ridosso della discussione nell’Assemblea generale dell’Onu, che potrebbe iniziare con la richiesta formale dell’Autorità Nazionale Palestinese attorno al 20 settembre e concludersi con il voto entro ottobre, per ogni insediamento ci sarà un reparto dell’esercito incaricato di garantirne la sicurezza. L’intenzione degli alti comandi di Tzahal è di evitare che i coloni, specialmente quelli degli insediamenti più isolati ed estremisti controllati dai movimenti nazional-religiosi, siano tentati di fare da sé, innescando una spirale di attacchi e ritorsioni che rischierebbe di trasformare le manifestazioni palestinesi in una nuova Intifada o in una guerra.

Prima dell’avvio dell’allerta, che scatterà il 19 settembre, il comandante di Tzahal, Avi Mizrahi, manderà anche un messaggio ai coloni.

La preparazione dell’esercito israeliano alla possibile rivolta palestinese è un ulteriore indizio del fatto che il governo di Benyamin Netanyahu considera ormai perso il braccio di ferro diplomatico. Secondo un altro documento riservato inviato qualche giorno fa al governo dall’ambasciatore israeliano all’Onu Ron Prosor, il massimo che Israele può «sperare di ottenere è che un certo numero di paesi si astenga sia assente al momento del voto». I palestinesi confidano di avere tra i 130 e 140 voti favorevoli nell’Assemblea generale del Palazzo di Vetro, mentre finora solo «un pugno di Paesi – scrive Prosor – hanno esplicitamente detto che voteranno contro». Tra questi, gli Usa, la Germania, la Repubblica ceca, l’Olanda e l’Italia. Silvio Berlusconi, a maggio scorso, durante la celebrazione dell’anniversario dell’indipendenza israeliana, ha assicurato che l’Italia voterà contro la richiesta palestinese. Secondo Berlusconi, si tratta di un voto «in linea con la posizione europea», che però al momento non esiste. Ciascuno dei 27 paesi dell’Ue si sta orientando autonomamente, con Francia e Gran Bretagna che ancora non hanno sciolto la riserva e gli altri 21 indecisi tra il sì e l’astensione.

Il 3 settembre a Bruxelles è previsto un vertice dei ministri degli esteri da cui potrebbe, uscire una posizione unitaria. Secondo fonti diplomatiche, molto dipenderà dal testo della risoluzione Onu: se dovesse essere «morbido» nei confronti di Israele e contenere un invito esplicito a tornare rapidamente al tavolo dei negoziati, anche gli indecisi potrebbero scegliere di votare a favore. Per quanto il voto dell’Assemblea non sia vincolante, il governo israeliano sta pensando di salvare la faccia del premier Netanyahu mandando al suo posto all’Onu il presidente israeliano Shimon Peres, una figura più credibile da spendere nel rush diplomatico dell’ultimo minuto per cercare di contenere una sconfitta politica di portata storica.

di Joseph Zarlingo

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