È uscito dalla porta secondaria di Arcore, Umberto Bossi. Quasi di soppiatto, da sconfitto. Lui che solo due giorni fa ancora strillava che le pensioni non si sarebbero toccate grazie a lui, ebbene ieri ha perso la sua battaglia e si è arreso: salta il contributo di solidarietà, che resterà solo per i parlamentari, non ci sarà alcun aumento dell’Iva, ma il vero salasso arriverà dalle pensioni, la cassa si farà tutta da lì. Con un colpo di spugna netto, il governo ha cancellato i contributi figurativi del riscatto della laurea e del servizio militare, di fatto aumentando da 2 a 5 anni il periodo necessario per raggiungere i 40 anni di contributi. È un primo passo, a giudizio di alcuni parlamentari della maggioranza, verso l’eliminazione delle pensioni di anzianità. Per il Senatùr, insomma, una sconfitta cocente. E con lui anche uno schiaffo per Calderoli e per la sua tassa sull’evasione, che pare non sia stata neppure presa in considerazione, sostituita da un giro di vite sulle società di comodo e soprattutto sulle agevolazioni fiscali alle Coop.
La Lega, insomma, esce con le ossa rotte dal confronto. Con un’unica eccezione, quella di Maroni. Che ieri si era impegnato davanti ai sindaci in rivolta a Milano a portare a casa misure concrete per salvaguardare le casse degli enti locali. Ebbene, i piccoli comuni si salveranno davvero, anche se verrano unificate alcune loro funzioni fondamentali e in prospettiva (via ddl costituzionale) saranno anche abolite tutte le province, ma intanto ci sono 2 miliardi di euro di tagli in meno su questo fronte; per Maroni una promessa mantenuta da incassare sotto il profilo elettorale.
Ma soprattutto, la manovra che è uscita ieri da Arcore non è quella scritta dal ministro dell’Economia, è stata ristrutturata nel senso più profondo della sua filosofia. “Per la prima volta – ecco il commento a caldo di un ‘frondista’ soddisfatto – non abbiamo dovuto ingoiare a scatola chiusa il tonno Tremonti…”. Infatti, all’inizio dell’incontro, il ministro dell’Economia si era mosso nel solco del suo consueto clichet: non si deve cambiare nulla. Poi una battuta del Cavaliere che ha azzerato ogni velleità di protagonismo: “Quella che hai scritto tu è una manovra depressiva, io non la voglio”. Di lì scintille e grida, con Tremonti che però alla fine ha chinanto la testa.
Quello che diranno i mercati sul nuovo testo lo si vedrà, ma di certo non è rimasto nulla dell’impostazione tremontiana di tagli lineari e di nuove imposizioni “di solidarietà”. Muovendo sulle pensioni, il ministro dell’Economia non ha potuto dire di no davanti alla ferrea volontà del Cavaliere di cancellare le nuove tasse come appunto il contributo di solidarietà “contrario alla filosofia stessa del Pdl”.
Vista la sconfitta di Bossi, poi, Tremonti – che fino a ieri si era invece fatto proteggere dal Carroccio – ha immediatamente cambiato schema allineandosi su tutto il fronte al Cavaliere; il ministro ce l’ha fatta a restare in piedi anche questa volta, si vedrà ora per quanto tempo, ma sul suo riavvicinamento a Berlusconi pochi i dubbi. Uscendo a tarda sera dal salotto di Arcore, si è lasciato sfuggire un “tutto bene” impensabile solo qualche ora prima. Adesso la nuova manovra passa nelle mani degli uomini dei conti che dovranno trovare il modo di farli quadrare un’altra volta. È per questo motivo se il termine ultimo delle 20 di ieri sera per la presentazione degli emendamenti di fatto non è stato rispettato. Le nuove norme sono tutte da scrivere e il governo ha dato mandato al relatore della legge di presentare (probabilmente) un maxi emendamento con le modifiche direttamente giovedì o venerdì prossimo in aula a palazzo Madama in modo da porre la fiducia su quello e raggiungere il risultato finale senza correre il rischio di modifiche in aula.
Lo stesso scenario si dovrebbe avere alla Camera, ma qualcosa, ancora, non quadra del tutto. Ed è Pierluigi Bersani a insinuare, per primo ma seguito a ruota dall’Udc, che i conti, alla fine, potrebbero “non tornare”: “Non vedo come possano quadrare questi conti”. Sempre ieri sera, da ambienti vicini a Confindustria, si faceva notare che con gli interventi annunciati, all’appello dell’invariato saldo finale (45,5 mdl di euro) ne potrebbero mancare più di 20. Ma per Berlusconi lo spettro di una crisi sulla manovra è ormai archiviato.Tanto che ieri ha concluso il vertice stappando una bottiglia di champagne (lui che è a dieta da giorni) per festeggiare “l’accordo; e adesso tutti avanti fino al 2013!”. Un brindisi con tutti i partecipanti al “conclave”, Alfano, Tremonti, Bossi, Maroni, Calderoli, Cicchitto, Gasparri, Moffa e il presidente della commissione Bilancio del Senato Azzollini. Pare che nessuno abbia bevuto un goccio, ma che abbiano comunque alzato il bicchiere davanti alla prospettiva di andare avanti con la delega fiscale e la riforma dell’architettura dello Stato.
“Berlusconi – commentava un ‘frondista’ pidiellino soddisfatto per aver incassato, in qualche modo, una vittoria – ha dimostrato di avere ancora in mano la golden share del governo e della maggioranza; il 2013 non è più un traguardo irraggiungibile”. Forse.