Vivo in Irpinia. Di solito citata per la pioggia, il verde prepotente (più prepotente che in Umbria), qualche politico di troppo, l’ottimo vino (tre Docg), la parimenti ottima cucina e il terremoto (purtroppo). Ma a meno di mezz’ora da casa mia c’è il mare. Arrivo velocemente ad affacciarmi sul Golfo di Salerno, che sta diventando una vera perla del Tirreno.
Non voglio parlare di come il sindaco Vincenzo De Luca l’ha trasformata in questi anni (vivibile, turistica, creativa), né della nuova stazione marittima in costruzione, progettata niente po’ po’ di meno che da Zaha Hadid. Voglio parlare del mio rapporto con un luogo che mi attrae tanto e che vivo quale fuga dalle ombre montuose che proteggono invece la mia cittadina di residenza, incassata (forse fin troppo incassata) in un fondovalle. Anche a mio padre (pugliese originale) i monti facevano tristezza. Io ho ereditato l’insofferenza permanente nei confronti dell’orizzonte spezzato dalle montagne, così corro a Salerno per ritrovarmi.
Per 50 centesimi all’ora, posso lasciare l’auto quasi in centro (fine di via Irno, per chi conosce le zone) e farmi a piedi (e ben volentieri) chilometri di lungomare. Oppure siedo sulle infinite panchine in pietra a guardare nell’azzurro e mi esercito in un’intrigante e personalissima analisi sociologica di tutti quelli che mi passano davanti: jogger, ciclisti, studenti alle prese con i ripassi, anziani, famigliole con o senza passeggino, teenager variopinti o innamorati, marittimi in libera uscita, giocatori estemporanei di briscola o di scacchi, bimbi in monopattino/bici/pattini con pallone/gelato. Tra me e il mare ci sono le persone che camminano senza fretta, i pescatori per hobby e i gabbiani (anche qualche cormorano, talvolta). Il mare che vedo è tanto: dal primo scoglio della costiera amalfitana a destra fino a Punta Licosa (foschia permettendo) a sinistra.
Il lungomare cittadino di Salerno (lunghissimo, ma se ne possono ricavare tronconi diversi, urbanisticamente e antropologicamente parlando, da Vietri fino a Mercatello) è un “ecosistema”: i chioschi delle bibite, le bancarelle dei libri, qualche ambulante, i tavolini dei bar, la pizzeria al volo, i pakistani con le rose, i vigili di pattuglia. Un macro-microcosmo armonico. Dietro i palmizi, le sedi della Provincia e del Comune si ergono squadrate (epoca fascista), mentre alle loro spalle c’è il Corso con lo strùscio, che s’infittisce all’inverosimile d’inverno.
Qualche volta passeggio sulle banchine degli attracchi: quasi riconosco le barche una per una, mentre dal circolo nautico arrivano zaffate (non spiacevoli) di fritto di paranza. Vado a salutare le pilotine della Capitaneria e i rimorchiatori, oppure mi accerto degli orari del Metrò del Mare (una santa cosa), da Sapri a Ischia. E se mi gira, c’è sempre la possibilità di prendere un caffè (con scorzetta d’arancio candito, obbligatoria) ad Amalfi affianco al Duomo, arrivandoci con la motonave. Da Salerno, appunto.
Salerno d’estate è tutta sul lungomare. Ha la sua spiaggia di città (e secondo me è una bellissima possibilità) per chi non può permettersi di andare fuori. Ogni settimana c’è un evento e ogni volta che arrivo c’è una cosa nuova: una festa, una regata (ce ne sono d’internazionali e di varie categorie), una sagra, un locale che s’inaugura, una fiera, un congresso, un raduno nazionale, una scusa – insomma – per stare accanto al mare. A giugno, per esempio, si è svolta la festa di LiberEtà/Spi-Cgil, con tanto di Roberto Vecchioni in concerto al porto, nonchè una Rosy Bindi acclamatissima nella stessa sala consiliare che ospitò il primo consiglio dei ministri dell’Italia Unita.
A fine luglio mi sono letteralmente trovata in mezzo alla ricorrenza di Sant’Anna al Porto con i fuochisti che sparavano davanti al carro portato a spalla con cadenza ritmata e spettacolare, mentre la gente del quartiere aveva appeso ai balconi le coperte più belle, proprio come si faceva un tempo. La settimana successiva, poi, la Madonna è attraccata direttamente sul lungomare, dove avevano preparato un’enorme cancellata di luminarie e i fuochi a mare.
Insomma, Salerno non è scostante: ti accoglie, t’ingloba, la vivi ancora (e spero di poter dire “sempre”) a misura d’uomo. È allegra e colorata d’estate come d’inverno, con quelle sue famose luminarie fatte con materiale di riciclo. Salerno è per me una città bellissima: è il mio posto dell’anima. È il sud possibile, anche se ancora tanto lontano da sistemare. È il sud verso il quale si era incamminata la Napoli del primo Bassolino, quella del rinascimento mai realizzato.
Per un poco, non è il sud pieno di guai, di disoccupati, di povertà, di disperazione, di abbandono e abbandoni. Ma questa è un’altra storia e magari ve la racconterò un’altra volta. Per un poco soltanto. Il tempo di un pomeriggio sul lungomare.
di Marika Borrelli
Nella foto, un momento della festa di S. Anna al Porto di Salerno