da Santiago del Cile – Ventitrè anni, Camila Vallejo, da normale studentessa di geografia è diventata una star della comunicazione, sulle prime pagine dei giornali e sulle copertine patinate di tutto il mondo. È il volto, bellissimo, del movimento degli studenti che ha bloccato il Cile con manifestazioni imponenti e scioperi (qualche giorno fa ci è scappato il morto, un ragazzo di 16 anni, Manuel Gutierrez Reinoso: il carabinero che avrebbe sparato è stato rimosso ieri dalla polizia) contro il governo conservatore di Sebastián Piñera. Tutti i cileni parlano di lei. The Guardian l’ha addirittura paragonata al subcomandante Marcos. Ma Camila ha anche ricevuto decine di minacce di morte.
La sua bellezza, i suoi grandi occhi verdi e il piercing alla narice sono il simbolo più evidente di una storia che è cominciata poco più di tre mesi fa e che oggi minaccia di cambiare radicalmente la politica in Cile. Secondo la commissione economica per l’America Latina e i Caraibi delle Nazioni Unite, le condizioni economiche del Paese sono eccellenti: le previsioni di crescita per il 2011 si aggirano attorno al 6 per cento, mentre la crescita media del Sudamerica si attesta al 3,8 per cento. Ma provate a raccontarlo a Camila. Lei non sarà d’accordo. Lei non vuole essere una star e parlare di se stessa. E per dimostrarlo accetta di parlare, ma di politica. A cominciare dagli obiettivi del movimento: “Aumento del trasferimento di risorse pubbliche alle università statali e fine del sistema di indebitamento degli studenti e delle loro famiglie per accedere all’educazione; oggi gli studenti e i funzionari non hanno il diritto di organizzarsi come categorie né possono partecipare agli organismi di governo dell’università, dobbiamo cambiare; il sistema scolastico superiore deve essere gratuito”.
Che cosa sta succedendo in Cile? In piazza ci sono gli studenti, ma anche i lavoratori e gli ambientalisti. È la prima grande agitazione sociale dai tempi di Pinochet.
In termini storici, negli ultimi 21 anni, molte mobilitazioni degli studenti hanno posto le basi per la costruzione del processo in atto perché hanno messo in evidenza progressivamente la crisi che attraversa il settore educativo. Quest’anno, un passo in avanti fondamentale è stata l’aggregazione dei diversi attori sociali del mondo educativo che hanno avanzato le loro proposte e, mentre i giorni passavano, il progressivo appoggio di tutta la società che ha fatto proprie le nostre proposte. Credo che questo vasto appoggio alle rivendicazioni per un’educazione pubblica, gratuita e di qualità abbia molto a che vedere con il fatto che i cileni sono stanchi di un modello neoliberista imposto dalla dittatura e consacrato dai governi della Concertazione. Siamo stanchi di indebitarci per ottenere il rispetto di diritti fondamentali: l’educazione, la salute e la casa.
Quanto conta il fatto che il governo in carica sia di destra?
Il ruolo della destra al potere è stato particolarmente nefasto e l’atteggiamento assunto nei confronti dei manifestanti è stato di costante intransigenza. La destra ha scelto di approfittare della congiuntura creata dalle manifestazioni per perfezionare il suo modello, invece di cambiarlo. Secondo me, questo atteggiamento ha fatto sì che la cittadinanza, di fronte alla sordità dell’esecutivo, abbia optato per condannare il ruolo del governo e si sia unita al movimento.
Le gravi carenze del sistema educativo sono un’eredità della dittatura e oggi, nel governo, vediamo rispuntare vecchi nomi del tempo di Pinochet. Difficile cambi qualcosa.
Molti personaggi che hanno avuto ruoli importanti durante la dittatura, oggi li ritroviamo in ambito politico ed economico e, in questo senso, nulla è cambiato. Ma il tempo dei resti della dittatura è scaduto, perché è cambiata, invece, la fiducia che noi abbiamo nella possibilità di produrre quei mutamenti di cui il Paese ha bisogno. Perché la società è cambiata.
Una delle maggiori critiche fatte al movimento studentesco è che sia influenzato dai partiti di sinistra: hai la sensazione che sia davvero così?
Nel movimento siamo certamente in molti ad aver aderito a partiti o a collettivi di sinistra dentro i quali abbiamo lavorato per anni per introdurre modifiche sostanziali nel modello neoliberista, ma le richieste che il movimento esprime sono tanto giuste e tanto urgenti e necessarie che hanno permesso a molte persone di ogni colore politico di identificarsi nel movimento stesso, dando luogo a un grande sostegno trasversale che rappresenta la maggioranza del Paese. Non nascondo la mia militanza nel Partito comunista, ma questo non influisce nel mio ruolo di portavoce del movimento.
È possibile cambiare il sistema educativo senza introdurre cambiamenti sostanziali nel sistema economico e politico dominante?
Può essere il punto di inizio di un cambiamento importante a livello del sistema socioeconomico. Quello che facciamo nell’educazione ha una relazione diretta con quello che vorremmo fare nel Paese: è attraverso l’educazione che si formano i cittadini per costruire un Cile diverso.
Che pensi delle opinioni che si stanno formando all’estero su questo Cile scosso da manifestazioni e scioperi? Sai che tutto il mondo parla di te?
Spero che tutto il mondo parli del Cile, non di me. Penso che si stia cominciando a vedere che il Cile non è quel Paese di successo la cui immagine è stata promossa all’estero in questi ultimi anni e che si comprenda che ci sono profonde disuguaglianze, che la redistribuzione della ricchezza è una delle peggiori del mondo e che i cileni sono stanchi di indebitarsi per studiare, di non poter accedere a un’educazione di qualità e di essere oppressi da tutta una serie di altri problemi che ci ha scaricato addosso il modello neoliberista. Spero che all’estero si stia cominciando a conoscere meglio il Cile reale e il ruolo del movimento degli studenti che vogliono cambiarlo.
di Cristián Rau Parot
(ha collaborato Giacomina Cassina)
da Il Fatto Quotidiano del 31 agosto 2011