Cronaca

Ecco il documento che accusa Penati <br/>“Due milioni di euro travestiti da caparra”

Pubblichiamo una delle prove più importanti contro il dirigente del Pd. Secondo la Procura di Monza, la nota autografa del manager Bruno Binasco dimostra una compravendita immobiliare fittizia per occultare una tangente sull'affare Milano Serravalle. Intanto si allunga la lista degli indagati. Tra loro l'ex parlamentare Pci Marco Bertoli

Una finta compravendita immobiliare tra Bruno Binasco, manager del gruppo Gavio, e Piero Di Caterina, imprenditore sestese legato a Filippo Penati, poi diventato uno dei grandi accusatori del dirigente del Pd indagato dalla Procura di Monza per concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Ilfattoquotidiano.it pubblica una delle più importanti prove documentali raccolte dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia nell’inchiesta sul “sistema Sesto” e sul presunto giro di tangenti relativo ai principali affari urbanistici dell’ex “Stalingrado d’Italia”.

Si tratta di un compromesso firmato il 14 novembre 2008 per l’acquisto, da parte di Binasco o di “una società da designare”, dell’immobile di viale Italia 466/468 di Sesto San Giovanni, di proprietà di Di Caterina. Il documento fissa una caparra di due milioni di euro in favore del venditore.

L’anomalia, secondo i pm, sta nella postilla scritta a penna dallo stesso Binasco: “La parte promittente acquirente si riserva in qualsiasi momento prima della stipula del contratto definitivo di vendita di rinunciare mediante semplice comunicazione scritta alla parte promittente venditrice all’acquisto del bene con sola rinuncia della caparra confirmatoria versata”.

Caso Penati, il compromesso tra Binasco e Di Caterina

E’ l’annuncio di quanto poi effettivamente avverrà: Binasco rinuncerà all’acquisto dell’immobile di viale Italia e Di Caterina intascherà due milioni di euro senza alcun sacrificio. Una contratto simulato, scrivono i magistrati nell’appello al Tribunale del riesame di Milano per chiedere l’arresto di Penati e del suo braccio destro Giordano Vimercati, negato dal gip di Monza il 10 agosto scorso. “Una simulazione che ovviamente serviva a creare una copertura a un’operazione di restituzione di fondi che rispondeva ad altre finalità”.

In base alle dichiarazioni di Di Caterina, concludono Mapelli e Macchia, “l’unica alternativa razionale e coerente per spiegare il pagamento di Binasco a Di Caterina nell’interesse di Penati e Vimercati è che la somma sia parte della tangente a loro destinata per l’acquisto da parte da parte della Provincia di Milano del 15 per cento delle azioni della Milano Serravalle (società del gruppo Gavio, ndr) avvenuto in data 29 luglio 2005”.

Filippo Penati si è dichiarato estraneo a ogni accusa in una lunga lettera pubblicata sul proprio sito internet, e naturalmente la ricostruzione dell’accusa sulla genesi di questa compravendita dovrà passare il vaglio dei giudici. Proprio sul filone Milano-Serravalle si stanno concentrando le indagini della Procura di Monza, che ha disposto nuovi accertamenti per verificare la congruità del prezzo pagato dalla Provincia di Milano sotto la guida di Penati. Un esborso di 238 milioni di euro per l’ente pubblico, che pagò 8,973 euro l’una le azioni che a Marcellino Gavio erano costate appena 18 mesi prima 2,9 euro.

Intanto emergono nuovi nomi dalla richiesta di proroga indagini inoltrata dalla Procura al giudice per le indagini preliminari. Il direttore generale del Comune di Sesto San Giovanni Marco Bertoli, già parlamentare del Pci negli anni Settanta, è accusato di finanziamento illecito dei partiti, in merito a presunti contributi in nero sborsati da un imprenditore della sanità. L’unico a essere citato negli atti, per quanto si sa finora, è Daniele Schwarz, patron di Multimedica e protagonista di altre disavventure giudiziarie, ma non ci sono conferme che il riferimento sia a lui. Sotto inchiesta è finito anche Michele Molina, imprenditore immobiliare del varesotto attivo nello sviluppo di centri commerciali.

Dalla richiesta di proroga arriva la conferma che tra gli indagati figura anche il sindaco di Sesto succeduto a Penati nel 2002, Giorgio Oldirini, pure lui del Pd. Secondo indiscrezioni, l’accusa riguarderebbe la ristrutturazione del Palazzetto dello sport, a cui lavorò gratuitamente l’immobiliarista Giuseppe Pasini, proprietario dell’area ex industriale Falck dal 2000 al 2005. Secondo il racconto di quest’ultimo, la richiesta di occuparsene avrebbe fatto parte del pacchetto di soldi e favori chiesti da Penati in cambio dell’approvazione del progetto urbanistico di Pasini sull’area Falck, il più importante affare immobiliare sestese del decennio, ora al centro dell’inchiesta di Monza.

Proprio oggi, Oldrini ha annunciato che se l’inchiesta di Monza sfocerà in un processo, il Comune di Sesto si costituirà parte civile a tutela “della onorabilità della città”.