Nonostante i media nostrani fingano di entusiasmarsi per i "colpi" di Inter, Juve e Milan il pallone nostrano è sempre più ai margini dell'Europa del football. Destinato a perdere sempre posizioni nel ranking Uefa e di conseguenza posti nelle competizioni internazionali
Imperscrutabile la Roma, che per tutta l’estate ha venduto e acquistato in ogni reparto – compreso Osvaldo, a 17 milioni dall’Espanyol, per occupare quel posto di punta centrale dove da anni è inchiodato il trono di Totti – ma poi è stata eliminata dallo Slovan in Europa League con Cassetti difensore centrale e Borriello in tribuna. Certo, se Pjanic, Kjaer e Gago fossero arrivati prima forse le cose sarebbero andate diversamente.
Bene la Lazio, e anche il Napoli che rifà il centrocampo con Ilner e Dzemaili e puntella l’attacco con Pandev. Tutti innesti che però potrebbero non bastare per sopravvivere a un girone di Champions League con Manchester City, Bayern Monaco e Villarreal.
Fotografia di un calcio in disarmo, destinato a perdere sempre più posizioni nel ranking Uefa e di conseguenza posti nelle competizioni internazionali. Come l’istantanea dei sorridenti Forlan, Aquilani e Vucinic, sublima la pochezza di idee dei manovratori del pallone nostrano: ci spacciano il piombo per oro, ma nessuno crede più alle loro capacità alchemiche.
Nemmeno i nuovi ricchi abitano più qui. Il Paris Saint Germain, nuovo giocattolo del fondo sovrano d’investimenti della famiglia reale del Qatar, spende 41 milioni in giocatori assortiti (Menez, Lugano, Sissoko, Sirigu, Matuidi, Gameiro) e 42 per il solo Pastore, nuovo record per la Ligue 1. O il Manchester City, gingillo col quale da un paio di anni si trastullano i satrapi di Abu Dhabi, che ha aggiunto una novantina di milioni (Aguero, Nasri, Savic e Clichy) al miliardo già speso fino ad ora tra l’acquisto di società e nuovi giocatori. E vagli a dire che queste iniezioni di petroldollari falsificano i principi della libera concorrenza (ma esistono poi questi principi?). Innanzitutto, l’inflazione del costo della forza lavoro (cartellini e stipendi dei giocatori) l’abbiamo prodotta noi per primi negli anni ’90, quando dominavamo in Europa (calcistica) e nessuno si chiedeva se la speculazione potesse tenere. Poi bisognerebbe chiedersi come mai tutti questi nababbi stranieri preferiscano non tanto Londra e Parigi, ma anche la seconda squadra di Manchester o Birmingham o Malaga per i loro giocattoli: evidentemente il nostro sistema chiuso e autoreferenziale, per non dire di peggio, non offre garanzie.
E’ coi progetti, parola usata sempre più a sproposito nel nostro calcio, che si fanno le squadre. Manchester United e Barcellona, per citare le finaliste in due delle ultime tre Champions League, spendono le medesime cifre delle nostre ma per campioni affidabili – 45 milioni per De Gea e Young, 60 più bonus per Fabregas e Sanchez – a cui aggiungono giovani promossi dal vivaio o pescati nelle squadre minori e subito fatti debuttare con successo. Da noi la Juve ha speso poco meno di 50 milioni, l’Inter circa 30 per Forlan, Kucka, Viviano, Jonathan, Alvarez, Castaignos, che arrivano a 50 se sarà riscattato Zarate. La notizia “bomba” arrivata sul filo di lana che occuperà le prime pagine sportive di domani è appunto il prestito con diritto di riscatto all’Inter della riserva della Lazio, avvenuto perché Moratti è rimasto colpito da un sms in cui l’argentino rivelava che pur di potere andare all’Inter avrebbe rinunciato a soldi. Ma ci facciano il piacere. Per fortuna il mercato è finito, speriamo si torni presto a giocare. O forse no.
di Luca Pisapia