Se l’ho detto, bene. Non è colpa mia se l’intera ideale palizzata televisiva da assai più di un mese è interamente tappezzata di immagini che giungono dalla Libia, anzi, dalla Quarta Sponda del gagliardo eppure tramontato tempo mussoliniano. Sequenze filmate che, chissà come, sembrano già viste, puro e garantito déjà-vu storico, non per nulla spesso e volentieri vengono accompagnate, a mo’ di compendio, dalla scena del mancato abbattimento della statua del “collega” iracheno Saddam, con la struttura tubolare che fuoriesce dai non meno bronzei pantaloni, e questo alla faccia dei tiranti del tank dell’odiato satana nemico a stelle e strisce. Un espediente narrativo che un po’ testimonia la pigrizia del compilatore del servizio (lo sapete, no, come avviene il montaggio? In modo meccanico, quasi pavloviano: Saddam uguale dittatore dunque Gheddafi uguale a Saddam, e così via… ) e un po’ deve soddisfare la voglia di prevedibile catarsi, e così via.
Ora, mettendo da parte l’impagabile intervista di Monica Maggioni in abito da piano-bar all’ambasciatore di Libia di Italia vista su Rai1 nei giorni scorsi, Abdulhafed Gaddur, con quest’ultimo che in fluente italiano narrava, anzi garantiva, l’esistenza di un Gheddafi “tollerante” ed estraneo a ogni forma di “ingerenza” nel lavoro diplomatico, un governante illuminato, insomma, così fino a un’improvvisa sua mutazione nel dittatore invasato delle ultime settimane, bene, mettendo da parte questa gemma mediatica (a proposito: il sito dell’Ambasciata di Libia in Italia mostra ancora le antiche insegne verdi, e nel contempo risulta “in costruzione”) non si può non fare ritorno al filmato paradigmatico del fortunato miliziano di Bengasi che mostra il trofeo conquistato nel bunker-complesso multi-residenziale di Muammar Gheddafi, quel berretto bianco e rosso da “colonnello” guarnito di greche e sormontato da un enorme fregio quasi imperiale. Il miliziano che lo indossa, innalza anche una grande catena da rapper al collo a favore di una t-shirt grigio fumo, una bizzarra miscela “uniformologica” che lo rende assai più simile a uno sfollato, a un assaltatore dei formi piuttosto che a un combattente, sia pure irregolare.
E anche in questo caso, come già poco prima a proposito della statua abbattuta e ridotta a simulacro dell’odiato tiranno da colpire in effige con gesti meccanicamente tribali, diventa d’obbligo fare ritorno ad altre immagini analoghe, sia pure appartenenti a un tempo pre-televisivo. Il ragazzino di Dongo che a un passo dal lungolago mostrava il cappotto trovato addosso a Mussolini durante il suo tentativo di fuga a bordo di un camion tedesco, e poi, va da sé, le divise di Hitler trovate all’interno del bunker della Cancelleria di Berlino dalle avanguardie dell’Armata Rossa sovietica. Tutte immagini che con i tempi che corrono suggeriscono in definitiva un interrogativo finale: vuoi vedere che il berretto del caro Muammar domani stesso ce lo troviamo su eBay con base d’asta mille dollari?
Nella foto, Monica Maggioni
Il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2011