“Con l’8 per mille alla Chiesa cattolica avete fatto molto. Per tanti”. La frase è risuonata così spesso nelle case degli italiani attraverso gli spot in tv, una volta con la voce di don Franco, un’altra di suor Lucia e così via anno per anno, fino a diventare materiale su cui ironizzare sul Web: “Avete fatto molto. Ora anche basta”.

La stessa richiesta arriva dal Partito radicale che denuncia l’impossibilità dei cittadini di scegliere (i fondi di chi non firma vengono ripartiti tra tutti) e chiede la revisione della quota dell’8 per mille destinata alla Chiesa, appellandosi alla legge istitutiva del 1985. Il meccanismo con cui lo Stato ripartisce l’8% dell’intero gettito fiscale Irpef dei contribuenti, infatti, è figlio del Concordato e di un gruppo di esperti tra i quali figura l’attuale ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Fino ad allora il governo pagava gli stipendi dei sacerdoti (in virtù dell’esproprio dei beni del 1861) attraverso un fondo apposito del ministero dell’Interno creato nel 1929. Il nuovo rapporto economico prevede che ogni tre anni una commissione istituita presso la presidenza del Consiglio riveda l’importo deducibile delle erogazioni “al fine di predisporre eventuali modifiche”. Ma le valutazioni non sono pubbliche e non c’è traccia delle proposte di correzione che la commissione negli anni potrebbe aver proposto.

“Se il gettito dell’8 per mille aumenta, l’aliquota va diminuita – dice il segretario radicale Mario Staderini in pratica, se cresce molto, andrebbe ridotto ad esempio al 6 o al 4 per mille. Ebbene, nel 1990 la Cei incassava l’equivalente di 210 milioni di euro dall’8 per mille mentre a partire dal 2002 incassa 1 miliardo di euro l’anno. Cioè cinque volte quanto prendeva all’inizio. Per questo, da almeno dieci anni la legge imporrebbe di lasciare 500 milioni di euro nelle casse dello Stato”.

Le chiese beneficiarie dell’8 per mille devono presentare un rendiconto annuale sul quale la commissione si basa per le verifiche. Sapere le stime precise di quanto sia stato versato negli ultimi anni non è possibile. Sul sito della presidenza del Consiglio ci sono i dati fino al 2007, relativi al gettito 2003. Da cui si evince che i fondi derivanti dalle scelte espresse dai contribuenti (quindi chi ha messo la firma sotto “Chiesa cattolica”) sono 362 milioni, quelli derivanti da scelte non espresse, ripartiti però secondo le percentuali delle scelte espresse, sono 524 milioni. Ovvero sono più i soldi di chi non firma che quelli di chi sceglie.

Il radicale Maurizio Turco ha richiesto l’accesso alle valutazioni della commissione, ma gli è stato negato. “Dopo la richiesta dell’onorevole Turco il Tar ci ha dato ragione – ha spiegato il membro della commissione Anna Nardini – perché il nostro non è un procedimento amministrativo ma esclusivamente politico e riferiamo direttamente al presidente del Consiglio. La normativa in merito è bilaterale e noi, anche volendo, non potremmo modificarla unilateralmente”.

Un altro dei membri della commissione, Carlo Cardia, già in un intervento del 2001 spiegava che “dal flusso finanziario dell’8 per mille derivano alla Chiesa delle somme veramente ingenti, che hanno superato ogni più consistente previsione”. Fino all’ipotesi di incostituzionalità riferita al valore della laicità espresso dalla carta. Ma se qualcuno ha bloccato una proposta di modifica in tal senso non è possibile saperlo. A meno che non venga approvato un ordine del giorno dei radicali, che non si fermano, e chiedono la trasparenza degli atti.

Il Fatto Quotidiano, 31 agosto 2011

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