Uno sciopero generale non è la rivoluzione, ma neppure una scampagnata fuori porta. È lo strumento di lotta più energico, largo, profondo, e anche più costoso (per i lavoratori che ne sono protagonisti), con il quale cittadini sacrificati e tartassati fino allo sfruttamento (o la parola è tabù?) impongono obiettivi sociali e/o politici che sovvertono democraticamente i rapporti di forza con i ceti del privilegio, e restituiscono una qualche verosimiglianza alla parola equità.
Lo sciopero generale è perciò in qualche modo una extrema ratio, una decisione coraggiosa e pericolosa: indica che la misura è colma, che da parte dell’establishment e dei suoi governi è stato superato il limite, e che i sacrificati di sempre sono pronti e costretti a correre l’alea dello showdown. Uno sciopero generale riuscito scuote in radice l’arroganza dei potenti. Sconfitto, apre la strada a più devastanti iniquità.
Con lo sciopero generale non si gioca e non si scherza, perciò. Lo scorso anno Susanna Camusso traccheggiò per mesi contro il sacrosanto sciopero generale invocato dalla Fiom per battere in breccia il tentativo di Marchionne di americanizzare le condizioni delle fabbriche Fiat, mettendo in ceppi l’autonomia e le libertà sindacali. La convocazione tardiva finì per depotenziarlo.
Ora, invece, contro la manovra, l’errore sembra opposto: la precipitazione. Cattiva consigliera, a cui evidentemente si deve la disastrosa mancanza di obiettivi radicali all’altezza della tragica situazione, e dei duri sacrifici che uno sciopero costa all’operaio. Se infatti lo sciopero generale non paralizzerà/mobiliterà il Paese, raccogliendo intorno alla Cgil anche la marea montante dell’indignazione popolare e di una furia perfino interclassista contro la finanziaria-rapina, se non costituirà la diana per un periodo di lotte ininterrotte (petizioni, presidi, manifestazioni …) con cui scolpire la parola fine della cinica e ventennale avventura berlusconiana, rischia di diventare un boomerang.
Lavoratori, disoccupati, precari, e sempre più “ceti medi” hanno ormai poco più che gli occhi per piangere. C’è ancora qualcuno capace di raddrizzare la barra e non svilire lo sciopero generale a preambolo di nuovi cinguettii Sindacati/Confindustria? Cgil, Fiom e gli infiniti movimenti dell’Italia civile hanno quattro giorni per restituire allo sciopero generale la sua funzione democratica. Altrimenti, lo dico con un groppo alla gola, sarebbe forse meglio revocarlo: uno sciopero generale innocuo è una sconfitta.
Il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2011