Si è conclusa da poche ore la settima edizione di Vedrò, pensatoio bipartisan fondato da Enrico Letta, e che ha visto con sorpresa la partecipazione di oltre 700 persone. Tra le relazioni che più mi hanno colpito quella sull’osservatorio permanente sulle imprese italiane, iniziativa diretta da Marco Zanotelli e portata avanti con l’Università di Milano e di Stanford.

L’osservatorio ha fotografato il manifatturiero, di cui si parla sempre troppo poco: eravamo il quinto Paese al mondo per export nel 2009, oggi siamo al settimo, secondi in Europa dopo la Germania. Il manifatturiero crea valore per un terzo del nostro pil. E, come ha ricordato Oscar Giannino, tra il 70 e l’80% del potenziale di crescita a breve dell’Italia è dato dai 24 suoi settori. Peccato che poi tutto ciò non possa bastare – in un Paese come il nostro fatto di beghe di partito e interessi annidati ovunque – a studiare (e rafforzare) questo mercato composto da una miriade di imprese, quasi 400mila anche di piccole (e piccolissime).

I dati evidenziano una contrazione del tessile, del mobile, della chimica, del legno. Ma in realtà ci sono anche quattro voci con segno più: metalli, alimentari, macchine e moto. Così l’osservatorio fotografa un sistema imprenditoriale che crea nuove imprese. E – così dicono da Vedrò – si scopre che il Paese può crescere e che la crisi non ha modificato di fatto la geografia del manifatturiero.

Il manifatturiero è il più grande moltiplicatore di occupazione nel nostro Paese, in termini diretti e per quanto riguarda i servizi, l’indotto che genera. La politica economica non dovrebbe ripartire da qui?

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