Questa legge tutela le librerie indipendenti. Dal 2008 le botteghe librarie hanno perso il 4% all’anno di quota di mercato (oggi sono un terzo del mercato). Ed è più che un peccato perché tra il libraio e il ragazzino che fa il commesso in una grande catena c’è una differenza abissale (con le consuete, dovute eccezioni): l’amore per i libri, la conoscenza, la capacità di consigliare un cliente e orientare il consumo culturale. Di sviluppare il dialogo attorno ai libri che resta uno degli argomenti da me personalmente preferiti. Nella mia città, Mantova, l’inventore del Festival della letteratura è uno storico libraio cittadino. Qualche anno fa ha ceduto la sua attività, pur continuando a gestirla, a una grande catena.
Tutto bene quindi? No, nella legge c’è una grande – fondamentale – lacuna. Non si prevede nessuna agevolazione per le biblioteche. Se i libri costeranno di più, meno persone (pensionati, disoccupati, studenti) potranno permettersi di comprarli. Ma devono almeno poterli leggere. I libri non possono diventare bene di lusso: le idee e la cultura non lo sono. Il malessere economico è sempre più diffuso, la situazione in autunno non sembra destinata a migliorare. Una moderna democrazia – per usare un’espressione ampiamente logora (nonché praticamente vuota di senso per l’Italia) – deve poter garantire a tutti l’accesso alla cultura, quindi ai libri. L’esempio più noto è quello della Norvegia che compra tremila copie di ogni libro da distribuire alle biblioteche. Forse lì non ci sono ministri giocolieri che sostengono, con un certo orgoglio, che la cultura non dà da mangiare.
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Il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2011