In questi giorni ho sentito diversi appelli, da parte dei politici, i quali auspicavano una condanna esemplare nei confronti del vandalo che ha danneggiato la fontana di piazza Navona.
È certamente un fatto che desta allarme, perché la tutela del patrimonio artistico è una risorsa fondamentale per il nostro Paese e per la nostra cultura. Condivisibile, quindi, l’unanime condanna. Ma l’appello alla sanzione esemplare è a mio avviso un rimedio ancor più errato.
Da giudice, quale sono, è mia profonda convinzione che la condanna – e sempre e comunque dopo un regolare processo – debba essere giusta, e non “esemplare”. Non può essere altrimenti, in un Paese democratico. Certamente l’applicazione della pena ha una funzione anche general-preventiva, volta cioè a creare un effetto deterrente avverso la reiterazione di reati similari, ma tale aspetto è solo uno degli elementi che deve caratterizzare il ragionamento del giudice nell’irrogare la pena. Applicando tutti i criteri previsti, ivi compreso quello della general-prevenzione, la pena dovrà essere quindi essere sempre equa e giusta.
È la nostra Costituzione a prevederlo, oltre che il nostro senso civico. Che senso avrebbe, del resto, il “giusto processo”, tanto decantato dalla politica, se il percorso processuale dovesse condurre ad una sanzione esemplare e non, invece, ad una condanna giusta?
Inoltre, e con molta probabilità, sarebbe anche controproducente proprio per la funzione rieducativa del reo (cui deve tendere la pena): dopo il fermo, il reo confesso ha dichiarato che voleva attirare l’attenzione a causa di problemi personali che aveva avuto per vicende con la magistratura. Una reazione “esemplare” da parte della giustizia non legittimerebbe la sua convinzione di essere una vittima della (in)giustizia, con possibile reiterazione di fatti penalmente rilevanti?
Non sono poi nemmeno da trascurare gli effetti che simili affermazioni possono determinare in termini generali. Gli appelli della classe politica, specie in occasione di fatti come questo, che destano un senso di indignazione forte e generalizzato, hanno certamente un grande appeal a livello mediatico. Animano le emozioni. Spingono verso una reazione giustizialista. Sono, in una certa misura, anche in grado di determinare una (inopportuna) pressione sui giudici.
Ma la giustizia sull’onda delle emozioni, per fortuna, non fa parte della nostra cultura giuridica.