Lo sprint di Borse e spread ha concesso una pausa di respiro al governo nella ricorsa al pareggio di bilancio. Pausa controbilanciata, tuttavia, dal pessimismo del Fondo monetario che prevede per l’Italia un’ulteriore contrazione della crescita. In altre parole: bene la manovra per bilanciare il pessimismo dei mercati, assai meno bene l’assenza di vere misure per la crescita, tema che continua a rappresentare il vero tallone d’Achille italiano. Alla vigilia della riunione della Bce che potrebbe decidere di non acquistare più i titoli italiani.
Non ha torto dunque Gianni Letta quando sottolinea i “momenti amari” che sta vivendo il Paese. L’umore degli uomini di governo non brilla, a conferma di quanto, negli ultimi mesi, è stato sotto gli occhi di tutti: una manovra di lacrime e sangue che non convince fino in fondo il centrodestra, dilaniato al suo interno sulle ricette da opporre alla tempesta perfetta dei mercati, e anche sul proprio futuro. L’impressione è quella di un’incertezza di fondo che nessuno è riuscito a spazzar via e che innanzitutto logora la leadership. Le lotte intestine non solo hanno eroso poco a poco il consenso dei moderati, come dimostrano tutti i sondaggi, ma hanno finito per riproporre a parti invertite lo scenario della rissosa Unione prodiana, proprio il modello che era stato ferocemente criticato dal centrodestra.
Si capisce così l’importanza del dibattito sul governo d’ emergenza, portato alla luce da Giuseppe Pisanu con la proposta di un patto di fine legislatura tra maggioranza e opposizione che dovrebbe fondarsi sul famoso “passo indietro” del Cavaliere. Scenario accolto con favore, naturalmente, dal centrosinistra e rigettato dal centrodestra con una compattezza apparente ma al di sotto della quale si individuano alcune faglie.
Lamberto Dini è stato costretto a smentire le indiscrezioni di una sua presunta simpatia per il “piano Pisanu” ma certo non è un mistero che nel Pdl siano entranti in crisi alcuni meccanismi, soprattutto di rapporto con la Lega. Gianfranco Miccichè, uno dei fedelissimi berlusconiani di un tempo, ha lasciato il Pdl per il gruppo misto e lavora a un progetto autonomo con Forza del sud; i frondisti hanno ottenuto modifiche alla manovra; e Giuliano Cazzola pone al premier il problema dei problemi, quello dell’eredità politica. Reduce della vecchia stagione craxiana, l’ex sindacalista Cazzola avverte il Cavaliere che è necessario saper progettare e porre in atto il ricambio se non si vuole consegnare il Paese alla sinistra di Vendola e Di Pietro. Lo invita perciò a uscire dal campo al momento giusto.
Qual è questo momento? Difficile dirlo. I berlusconiani si trincerano dietro la logica del bipolarismo che imporrebbe il ritorno al voto nel caso di una crisi di governo, escludendo le “manovre di Palazzo” ed esecutivi tecnici. Ma si tratta di un ragionamento che nei fatti si basa sulla tenuta dell’asse del Nord: se dovesse venir meno, tutto tornerebbe in gioco. Non a caso l’opposizione sostiene che la fiducia al Senato sia stata posta soprattutto contro la Lega e contro Giulio Tremonti, i due sconfitti di questo primo tempo. Il secondo si giocherà sui provvedimenti che seguiranno la manovra, a cominciare dai disegni di legge costituzionali per l’abolizione delle province, il dimezzamento dei parlamentari, l’introduzione del pareggio di bilancio nella nostra Carta. Iter generalmente lunghi e complessi sui quali invece stavolta è necessario fare presto perchè i mercati li attendono come prova di credibilità.
Le pressioni del Quirinale per migliorare la manovra e la costante attenzione che il Colle dedica alle mosse di questa fase rappresentano la garanzia che non ci saranno colpi di scena. Che dunque la partita di maggioranza dovrà essere giocata tutta nei confini di una politica di austerity. Ma bisognerà vedere anche le decisioni della Bce che secondo alcuni avrebbe “commissariato” la politica italiana. Serve un rapporto diverso con l’Europa e, al di là delle schermaglie con Germania e Spagna, l’interrogativo che molti si pongono è se Berlusconi sia in grado di garantirlo.