Secondo il Washington Post, dopo l'11 settembre è nato "un mondo top-secret" composto da 1271 agenzie federali e 1931 società private che oggi lavorano nell’ambito del controterrorismo. Circa 854 mila persone nel Paese dispongono di credenziali “top-secret”. Analisti ed esperti di terrorismo pubblicano 50 mila rapporti ogni anno. E molte agenzie del governo finiscono per fare lo stesso lavoro, creando sprechi e confusione
Le truppe speciali del JSOC sono però soltanto il centro di una galassia di organizzazioni, gruppi, strutture – pubbliche e private – create dopo l’11 settembre e cresciute a dismisura in questi dieci anni. Si tratta, ha scritto lo scorso dicembre il “Washington Post”, di “un mondo top-secret divenuto sempre più ampio e segreto, tanto che non si sa quanto denaro costi, quante persone impieghi, quali agenzie facciano lo stesso lavoro”. I numeri lasciano attoniti. 1271 agenzie federali e 1931 società private lavorano oggi nell’ambito del controterrorismo. Il budget per la sicurezza degli Stati Uniti è oggi di 75 miliardi (21 volte e mezzo quello precedente l’11 settembre). Circa 854 mila persone nel Paese dispongono di credenziali “top-secret”. Dal settembre 2011 a Washington, e nelle immediate vicinanze, sono stati costruiti 33 complessi di uffici che fanno lavoro di intelligence (si tratta di un’area 22 volte più larga di quella occupata dal Congresso). Analisti ed esperti di terrorismo pubblicano 50 mila rapporti ogni anno. E molte agenzie del governo finiscono per fare lo stesso lavoro, creando sprechi e confusione (per esempio, 51 organizzazioni federali seguono i flussi di denaro per e da i gruppi terroristici).
“E’ un fenomeno disastroso, di cui nessuno parla – ci dice David Cole, costituzionalista di Georgetown University -. Ma è questo il vero lascito dell’11 settembre: un’industria della sicurezza misteriosa e costosissima”. Il “mistero” di questa industria è stato del resto riconosciuto dallo stesso ex-segretario alla Difesa, Robert Gates, che lo scorso dicembre ha spiegato che “la crescita di intelligence dopo l’11 settembre è stata tale, che è una vera sfida abbracciarla tutta”. Proprio al Dipartimento della Difesa c’è un gruppo ristretto di funzionari, chiamati “Super Users”, con l’esclusivo potere di conoscere e coordinare il lavoro di tutte le strutture di intelligence. “Ma io non vivrò abbastanza a lungo per conoscerle tutte”, ha detto anonimamente al “Washington Post” uno di questi “Super Users”. Quando poi il generale in pensione John R. Vines (un tipo tosto, che ha comandato 145 mila soldati in Iraq) si è visto assegnare il compito di valutare efficacia e costi della struttura, le sue conclusioni sono state disarmanti: “La complessità del sistema sfida qualsiasi descrizione”.
La “piovra” della sicurezza americana è insomma cresciuta e sfuggita di mano ai suoi stessi creatori, e oggi si muove senza controlli e, probabilmente, senza una “testa”. La “piovra” della sicurezza americana ha però voluto dire soprattutto un enorme fiume di denaro fatto affluire nelle tasche dei privati. Migliaia di dipendenti di società legate al Pentagono – i contractors – sono finiti in questi anni nelle zone di guerra. Il sistema oggi prevede che ci sia un contractor per ogni soldato americano (il rapporto era un contractor ogni otto soldati ai tempi della guerra in Vietnam). Quando, l’anno prossimo, i soldati americani lasceranno in modo ormai sostanziale l’Afghanistan, verranno sostituiti da 5000 guardie private con il compito di provvedere alla sicurezza.
Il passaggio ai privati delle operazioni di guerra si è rivelato disastroso, in termini morali e materiali. Sono stati contractors Blackwater a sparare sui civili, e a ucciderne 17, in uno dei più infami episodi della guerra in Iraq, a Bagdad, nel 2007. Sono stati contratti stipulati dal Pentagono – senza ricorrere a un’asta – a condurre ad almeno 30 miliardi di sprechi nell’ultimo anno (lo ha rivelato una commissione bipartisan del Congresso). E’ stato il rapporto sempre più stretto tra governo e privati a portare tanti funzionari americani a lavorare, pagatissimi, per le compagnie private di sicurezza (James Woolsey, ex-capo CIA, è stato assunto da Booz Allen; William Studeman e Barbara McNamara, alla guida della National Security Agencys, sono finiti rispettivamente a Northrop Grumman e CACI). Chi ha cercato di porre rimedio a questa situazione di sprechi e connivenze ha spesso pagato personalmente. Il “New York Times” ha raccontato la storia di un funzionario del Pentagono, Charles Smith, rimosso dal suo incarico dopo aver denunciato un miliardo di dollari di spese non giustificate da parte di KBR, allora parte di Holliburton, tra i più potenti fornitori dell’esercito.
La lista sarebbe ancora lunga, e dovrebbe ovviamente comprendere gli immani costi pagati a casa, negli Stati Uniti, per evitare un nuovo attentato. L-3 ha ottenuto contratti da 900 milioni di dollari per fornire gli aeroporti americani dei full-body scanners (anche se un rapporto del “Government Accountability Office” definisce “non chiara” la capacità dei nuovi scanners di identificare più sofisticati ordigni esplosivi). E ogni edificio “sensibile” di Washington e delle altre città americane è stato dotato di apparecchiature di controllo e sicurezza fornite e spesso gestite dai privati: “escort-required badges”, macchine ai raggi X, aree tecnologicamente impenetrabili, protette da allarmi e unità di sicurezza capaci di rispondere entro 15 minuti (hanno anche un nome: “sensitive compartmented information facility”). Una buona parte degli oltre 75 miliardi forniti dal Congresso per migliorare la sicurezza a casa è insomma finita nelle tasche dell’industria della sicurezza, rapidamente diventata uno degli affari più lucrosi e imponenti del Paese.