Dietro al via della manovra italiana il colloquio decisivo tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il numero uno della Banca centrale europea. Berlusconi sempre più in una posizione marginale
Adesso è veramente ufficiale. Dietro all’ultima versione della manovra italiana, quella che dopo infiniti ripensamenti è finalmente approdata al parlamento per la scontata approvazione, c’è l’intervento decisivo di Giorgio Napolitano, mai come in questa occasione espressione della (giustificata) longa manus della banca centrale europea. Ad ammetterlo è stato lo stesso presidente uscente dell’istituto Jean-Claude Trichet che, nel corso della conferenza stampa tenutasi al termine della riunione del consiglio Banca centrale europea (Bce), ha ammesso per la prima volta di aver avuto un incontro con il Capo di Stato italiano con l’obiettivo di sollecitare adeguate misure di rientro sui conti pubblici. Una consultazione rivelatasi dunque decisiva.
Ecco dunque la rivelazione chiave che permette di tracciare finalmente un’interpretazione chiara sul significato della manovra italiana. Trichet, per il momento, l’ha sostanzialmente promossa ribadendo però la necessità che lo sforzo si traduca ora “in fatti reali”. Un monito che sembra fare da corollario a un’intesa raggiunta con la complicità di Napolitano e che ha messo fine a un momento di reale imbarazzo. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Trichet ha ricordato i momenti di difficoltà di dialogo con i governi quando la Bce “parlava al vento” con un richiamo vago quanto efficace nella sua capacità evocativa. Quanto all’Italia, il messaggio è chiaro: “Dopo alcune esitazioni, alcune complessità, alla fine si è visto qualcosa che va nella direzione dell’impegno iniziale”. Di certo, a questo punto, il recente appello al rigore proveniente dal Quirinale, assume finalmente un significato limpido.
Difficile non farsi venire il sospetto che la contropartita delle pressioni Bce siano state le promesse di acquisto dei titoli italiani, quei bond sovrani necessari per rifinanziare il debito che, ormai si sono dimostrati incapaci di reggere il confronto con i mercati e gli speculatori. Soltanto gli interventi dell’istituto centrale sul mercato secondario (la Bce, per regolamento, non può partecipare alle aste) hanno permesso ai Btp di sopravvivere a tassi decenti evitando ulteriori gravi impennate dello spread. A chi gli ha posto la fatidica domanda, Trichet ha risposto con la massima chiarezza che il suo ruolo gli consente: Eurotower, ha spiegato, rende note le operazioni di acquisto solo dopo che queste ultime sono state realizzate senza sbilanciarsi quindi sulle ipotesi future. Il 12 agosto, ha ricordato, la Bce ha acquistato bond sovrani per 22 miliardi, una settimana dopo ha fatto ulteriori acquisti per 26,3, lunedì ha rimesso mano alle riserve per altri 13.300 milioni nell’ambito di un “programma che è ancora parte del nostro lavoro e fa parte di decisioni già prese”. Un modo elegante per rassicurare la Penisola.
Chi invece non sembra aver tratto sufficienti rassicurazioni è il sempre traballante mercato finanziario. Prima ancora che la conferenza stampa si chiudesse, le borse avevano già iniziato a svoltare verso il rosso. La successiva inversione di tendenza ha permesso un generale recupero e Piazza Affari ha potuto chiudere le contrattazioni a quota +0,69% ma lo spread sul Bund è tornato ad allargarsi a causa, soprattutto, della nuova impennata di acquisti sul titolo tedesco che, divenuto ormai bene rifugio per molti, ha visto i suoi tassi sul decennale scendere fino all’1,823%, il minimo storico. Ma sull’irrequietezza del mercato pesa soprattutto un altro fattore: la poco convincente politica monetaria continentale.
Riassumendo: gli analisti della Bce non hanno la minima idea di come si evolverà l’economia nel corso del 2012 ipotizzando un’espansione del Pil compresa tra lo 0,4 e il 2,2%, ovvero tra il quasi drammatico e il più che buono. Per il 2011 si prevede una chiusura tra l’1,4 e l’1,8 ma intanto, e questi sono dati certi, la crescita del secondo trimestre è stata pari allo 0,2%, circa un quarto rispetto a quella registrata tra gennaio e aprile. Insomma, dopo la revisione al ribasso, le prospettive di crescita di eurolandia non sono affatto buone. Per rilanciarle occorre riattivare soprattutto l’economia tedesca, il primo fattore trainante d’Europa. E siccome Berlino dipende in gran parte dalle sue esportazioni ne consegue che a Merkel e soci serve soprattutto un euro più debole. Ovvero, una riduzione dei tassi di interesse. Peccato, però, che Trichet abbia comunicato l’intenzione di lasciare invariato il costo del denaro all’1,5%, una quota chiaramente troppo alta.
Le critiche dei grandi osservatori (il guru della crisi Nouriel Roubini in testa) non sono mancate così come le spiegazioni di altri analisti. L’impressione è che la Bce, intenzionata fino a poco tempo fa a realizzare addirittura nuovi aumenti sui tassi, non possa permettersi di perdere credibilità rinnegando le decisioni recenti con una mossa improvvisa. Insomma, Trichet e il suo successore Mario Draghi hanno capito che la strada maestra è ormai segnata dall’innalzamento dei tassi (cosa che tra l’altro alleggerirebbe la pressione sui deficit nazionali) ma per il momento sono costretti a far finta di nulla. E l’elogio odierno del presidente uscente sulla capacità dell’Europa di contenere con successo l’inflazione (che si combatte proprio con l’aumento del costo del denaro) suona in questo senso come una giustificazione implicita. Ma in fondo, come detto, è solo questione di tempo. Resta ancora da stabilire quanto in termini di attesa e di rallentamento per tutti i Paesi dell’area. Siano essi “locomotive” oppure soltanto ingombranti “vagoni” a rimorchio.