Secondo Israele, i paesi europei finanziano indirettamente i terroristi palestinesi. Milioni di euro in aiuti internazionali finirebbero, stando a quanto sostiene Gerusalemme, nelle tasche delle famiglie di terroristi suicidi o di prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane. Tra i maggiori donatori europei figura la Gran Bretagna, ma anche gli assegni staccati dall’Ue nel suo complesso sono di quelli a sei zeri.
L’Autorità nazionale palestinese, riconciliatasi ufficialmente con Hamas nel maggio scorso, ha stanziato il 3,5 per cento del budget nazionale a sostegno dei familiari dei morti suicidi in attentati terroristici. A renderlo noto è il quotidiano palestinese Al-Hayat Al-Jadida. In soldoni si tratta di “una media di 3.129 shekel israeliani (circa 600 euro) a testa”, una cifra davvero non male se si pensa che “un impiegato pubblico porta a casa circa 2882 shekels (550 euro)”. Nutriti sono anche i sussidi ai palestinesi imprigionati in Israele. “Ogni terrorista in prigione, compresi quelli che hanno causato la morte di civili israeliani, sono sul libro paga dell’Autorità palestinese”, sostiene Itamar Marcus dell’associazione Palestinian Media Watch. Questi soldi vengono il più delle volte versati ai familiari dei prigionieri proporzionalmente agli anni di condanna. Si parla di circa 350 euro per un condannato a meno di tre anni e fino a 3000 euro per chi prende più di 30 anni.
Inevitabilmente parte di questi fondi vengono presi dagli aiuti internazionali europei stanziati per la Palestina. Tra i maggiori donatori troviamo la Svezia. Il quotidiano svedese conservatore Svenska Dagbladet fa ironicamente notare che in Palestina “conviene di più farsi saltare in aria piuttosto che lavorare”. Ma la maggior parte degli aiuti europei vengono dalla Gran Bretagna, dove nelle ultime settimane infuria la polemica sul loro utilizzo vista soprattutto la crisi e i disordini sociali scoppiati in madrepatria. Secondo il Daily Mail, da Londra partono ogni anno con destinazione Gerusalemme Est circa 86 milioni di sterline (122 milioni di euro), di cui 3 milioni finiscono nelle tasche dei prigionieri palestinesi in Israele.
“Siamo molto attenti a come spendiamo i nostri soldi nei territori palestinesi occupati”, aveva detto in febbraio il ministro allo Sviluppo internazionale britannico Alan Duncan. Una rassicurazione che non sta mettendo Downing Street al riparo dalle critiche sull’utilizzo dei fondi internazionali, specie in tempo di crisi economica. La pressione è aumentata ulteriormente dopo l’annuncio del governo di voler aumentare gli aiuti del 35 per cento entro il 2015. Lo stesso David Cameron ha dovuto ammettere che si tratta di un “impegno molto difficile” in tempi in cui gli stessi inglesi sono costretti a tirare cinghia.
Nonostante gli scontati attacchi delle opposizioni, è tuttavia difficile imputare responsabilità dirette ai governi europei, che non possono decidere come utilizzare i fondi che stanziano oltre Mediterraneo. Ma lo Stato d’Israele non smette di soffiare sul fuoco della polemica, e parla apertamente di “finanziamento ai terroristi palestinesi”. Già un paio di anni fa, attivisti israeliani avevano criticato duramente l’Unione europea per aver finanziato, a detta loro, i programmi scolastici anti Israele promossi dall’Autorità palestinese. Dal canto suo Catherine Ashton, Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, pur non essendo intervenuta direttamente sulla questione, si è spesso spesa a favore della Palestina e dei diritti dei suoi abitanti.
Intanto per il 20 settembre prossimo è attesa la storica decisione delle Nazioni unite sul riconoscimento dello Stato palestinese. Se e come questa decisione influenzerà gli aiuti internazionali europei verso Ramallah e Gaza city è tutto da vedere.