Ai microfoni di Radio Padania Libera l’on. Alberto Torazzi, capogruppo del Carroccio in Commissione attività produttive, quest’oggi ha fatto sfoggio di tutta la sua “Legalità”, certamente non intesa come educazione e buone pratiche di cittadinanza, ma nel senso di totale appartenenza alla Lega, suo partito di riferimento.
In pieno stile leghista, non certo legalitario, l’onorevole ha avuto l’ardire di affermare che i nostri magistrati (purtroppo per loro e soprattutto per noi) del sud non sono di certo adatti a svolgere la loro funzione, garantitagli dalla Costituzione, poiché essi affetti da una congenita incapacità, derivante dalle loro poco nobili origini meridionali. Secondo Torazzi, i magistrati sarebbero “codardi”, “venduti”, “faciloni”, “senza alcuna voglia di lavorare”, insomma dei semplici “burocrati”, amici dei mafiosi cui passano informazioni riservate per tramite di altri “amici”.
Al grido di “questa è la loro cultura, il loro modo di fare”, l’onorevole ha proposto di sostituire questi magistrati con altri di origini padane, quindi di per sé più efficaci oltre che efficienti grazie alla indole laboriosa tipica del nord. Sarebbe questa la ricetta del dott. Torazzi per combattere la mafia annidata nel nord dell’Italia.
Però l’on. Torazzi, a mio avviso, dimentica alcune cose fondamentali: la prima su tutte (come se ce ne fosse ancora bisogno), che al di là delle differenze culturali, la nostra Italia (non certo la sua) è unita, anche nel combattere la mafia, dal nord al sud, isole comprese. Dimentica che la pur ottima azione del ministro dell’Interno sarebbe totalmente vana se a coadiuvarla non ci fosse una squadra di magistrati altamente preparati, coraggiosi, volenterosi e onesti. Qualunque sia la loro origine. E dimentica forse che l’azione di questi stessi magistrati sarebbe lo stesso vana se non ci fossero le coraggiose file dei corpi di polizia a loro disposizione (già, anche loro in maggioranza meridionali) che ogni giorno combattono nelle strade per garantire la sicurezza della nostra società (ponendo a rischio la loro vita per un compenso cinque volte inferiore a quello percepito da un qualunque “onorevole”) .
Le dichiarazioni di cui sopra non avrebbero bisogno di commenti. Ma per chi, come noi, quotidianamente si occupa di studiare e divulgare la cultura dell’antiriciclaggio e dell’antimafia, di supportare l’opera delle Forze dell’ordine e della Magistratura, di documentare fatti e misfatti delle associazioni malavitose, quanto ha affermato il parlamentare non può passare inosservato. Egli denota non solo arroganza, ma soprattutto l’ignoranza totale del fenomeno di cui tenta di parlare.
Dimentica che – al di là della provenienza geografica – i magistrati antimafia non si trovano nella sua posizione privilegiata (vivere scortati sempre e comunque, famiglie blindate, ecc.). Potremmo fare tanti nomi, ma immaginiamo che l’onorevole non conosca la fama, anche internazionale, delle persone che nomineremmo. Con in testa il “meridionale” procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, che onora il nostro paese, del quale credo faccia parte l’onorevole Torazzi. Al quale noi dell’Aira consigliamo (e consiglio) un momento di riflessione, e soprattutto di studio e documentazione, presso gli stessi uffici parlamentari o, se vuole, sul nostro sito. Va espressa solidarietà anche al meritevole ministro dell’Interno, nominato invano, che non aveva certo bisogno di avere le lodi da chi evidentemente non ne conosce il garbo istituzionale. Non è superfluo ricordare che le evidenze investigative e i dati sul riciclaggio disponibili sui siti istituzionali danno le regioni del Nord – peraltro piene di persone operose e per bene, come di meridionali che ne accrescono la produttività – tra le protagoniste della presenza mafiosa e dei giri di denaro sporco. Ma l’infiltrazione dei “meridionali” mafiosi, pur non innegabile, non sarà stata in qualche modo agevolata da comportamenti omertosi e accondiscendenti di imprenditori e liberi professionisti di origine settentrionale?
Qui, ripeto, non contano le “etnie”, bensì il risultato. E la lotta alla mafia è di tutti, caro onorevole.