Rinascere dalle macerie dell’11 settembre, dopo tremila morti e l’immagine dei corpi disperati che si lanciavano dal World Trade Center. Chi è sopravvissuto e porta nella memoria la tragedia di New York ha dovuto impegnarsi per ricostruire una vita piegata dal disastro delle Torri Gemelle. “Rebirth”, il nuovo film di Jim Whitaker, lo ha documentato dall’11 marzo 2002, da quando ha acceso 14 telecamere su Ground Zero per seguire la ricostruzione e le vite di cinque sopravvissuti.

Insieme al film, che verrà presentato domenica alle 21 presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica a Roma, è nata “Project Rebirth” l’omonima organizzazione no profit che, oltre a realizzare con le immagini una cronistoria puntuale dell’attentato, rende onore alle vittime e ai primi soccorritori. Tutto il ricavato del film, infatti, andrà per finanziare e promuovere iniziative educative tese a migliorare le capacità di recupero e a incrementare la preparazione post-traumatica dei primi interventi di soccorso.

I protagonisti, i cui nomi vengono rivelati solo alla fine del lungometraggio, sono cinque. La troupe di Project Rebirth ha raccontato la loro vita dopo l’attentato, dallo stress post traumatico alla difficoltà a ricostruire una vita affettiva. Ognuno di loro ha rilasciato interviste ad ogni anniversario della tragedia, dal 2002 al 2009, e hanno permesso a Whitaker di filmare gli avvenimenti più rilevanti della loro vita privata. C’è Brian, un operaio che ha perso il fratello e oggi lavora alla ricostruzione del World Trade Center. Ling, sopravvissuta con ustioni di secondo e terzo grado, Tanya che ha perso il fidanzato soccorritore alla Torre Sud. La madre di Nick invece lavorava in un ufficio finanziario del World Trade Center e Tim, un vigile del fuoco che è sopravvissuto al crollo ma che quel giorno ha perso il suo migliore amico e altri 343 compagni. Le immagini, accompagnate dalla colonna di Philip Glass (nominato  al premio Oscar 2007 per “Diario di uno scandalo”), raccontano la vita nova dei protagonisti, tra matrimoni, funerali e la nascita dei figli, oltre ad aggiungere spezzoni di home video delle feste di compleanno.

“E’ una testimonianza per le generazioni future. E il regista ci ha messo a nostro agio, senza giudicare. Ci ha lasciato parlare”, ha spiegato Tim al New York Times. Eppure è stato difficile ricordare, descrivere, parlarne ancora una volta. Ma ne è valsa la pena per condividere il dolore e dare una speranza a chi ha vissuto esperienze traumatiche.

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