«Nei pressi del noto Liceo Tacito di Roma si trova la “grattachecca di Sora Maria”, molto nota tra i giovani romani. Sapresti indicare quali sono i gusti tipici serviti? Menta, limone, amarena, cioccolato…»

E’ questa una delle domande di “cultura generale” alla quale sono stati invitati a rispondere migliaia di giovani aspiranti all’iscrizione al corso di laurea in “professioni sanitarie” dell’Università La Sapienza di Roma.

L’episodio ha, giustamente, dato vita a vivaci proteste e ad altrettanto comprensibili contestazioni circa la legittimità, sotto un profilo giuridico, della scelta dell’università, con conseguenti minacce – che ci si augura abbiano seguito – di ricorsi ai giudici amministrativi, volti all’annullamento del test.

Difficile dubitare dell’illegittimità di un concorso nell’ambito del quale si chiede ad aspiranti professionisti della sanità, provenienti da tutta Italia (per non dire Europa), tra le domande di cultura generale, quali siano i gusti tipici di una bevanda dissetante con la quale i soli giovani romani amano concludere le loro serate d’estate.

A prescindere dal fatto che la grattachecca ha davvero poco a che vedere con la “cultura generale” è, infatti, piuttosto evidente che l’ambito decisamente locale di diffusione della bevanda in questione (un pugno di chioschi nel centro di Roma) favorisce i candidati romani su tutti gli altri, distorcendo, evidentemente, i risultati della prova.

Risibile la giustificazione di Luigi Frati, rettore della Sapienza, secondo il quale per rispondere alla domanda sarebbe stato sufficiente «saper ragionare e non conoscere i gusti della grattachecca». Che c’entra la logica con il gusto? Se c’è qualcosa di irrazionale e illogico sono proprio i gusti.

Il punto, tuttavia, è un altro ed è ben più serio delle sorti del concorso in questione, il cui annullamento pure ne imporrebbe la ripetizione con l’ovvia conseguenza di determinare nuovi e ulteriori costi, tanto per l’università quanto per le migliaia di giovani che si vedrebbero costretti a tornare a Roma, sobbarcandosi le connesse spese di viaggio, vitto e alloggio.

La ragione per la quale, credo, l’episodio è grave, anzi, gravissimo e non può essere lasciato passare nel silenzio, né trattato in chiave ironica, riguarda piuttosto lo scarso rispetto dell’università verso i giovani aspiranti studenti che esso rivela.

L’altro giorno a Roma c’erano migliaia di giovani che, tra ansie e paure, avevano scelto di giocare una partita importante per il loro futuro, di provare a studiare per tentare, poi, in un Paese che sta facendo di tutto per togliere loro ogni speranza sull’avvenire, di lavorare. Interrogare questi giovani sui gusti della grattachecca ha significato offenderli, schernirli e dar loro un segnale in più – ammesso che ce ne fosse bisogno – di quanto poco le nostre istituzioni accademiche (e non solo quelle accademiche) prendono sul serio la formazione e il futuro dei nostri giovani.

Offendere quei giovani, chiamandoli a rispondere sulla grattachecca della sora Maria mentre erano li, in tensione, a sperare di avere sufficiente cultura da essere in grado di passare il test e conquistarsi il diritto allo studio, ha significato offendere il nostro futuro. Un Paese che non ha rispetto del futuro è, però, inesorabilmente, condannato a impantanarsi sempre di più nello stato di crisi, non solo economica ma prima ancora sociale, politica e dei costumi, nella quale siamo ormai precipitati.

La cifra della vergogna sta nelle parole del rettore dell’Università, Luigi Frati che anziché scusarsi con tutti – e innanzitutto con i partecipanti al concorso – ha avvertito l’esigenza di difendere una scelta folle, umiliante e offensiva come quella di chiedere se nelle notti dell’estate di Roma, la grattachecca che disseta i giovani romani è alla menta o al cioccolato.

La vergogna e, forse, la rabbia sono gli unici sentimenti con i quali dovremmo sforzarci di ricordare l’accaduto e frattanto, a tutela del nostro futuro, e quindi del nostro Paese, dovremmo pretendere tutti, a gran voce, che chi ha inserito quella domanda nel questionario del concorso o non ha vigilato perché ciò non accadesse, venga rimosso immediatamente dal suo posto e invitato a partecipare a un nuovo concorso per sperare di trovare un lavoro, con la segreta – anche se forse poco nobile e meno ancora cristiana – speranza che, in quella sede, qualcuno, suo simile, per valutare le sue attitudini a dirigere un’istituzione accademica, gli chieda quale formaggio si usa per preparare la fonduta piemontese.

Da Paese del bunga bunga a Paese della grattachecca è davvero troppo.

Parola di un docente a contratto (“aggratis” perché non ci sono fondi per pagarci) dell’Università La Sapienza di Roma.

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