L’Odissea italiana prosegue senza sosta ormai da interminabili decenni e ci vorrebbe come minimo un sommo Omero per cantarne degnamente le vicissitudini; dopo che saccheggiatori compulsivi, malavitosi professionali, arrampicatori sociali sul burino andante, ricattatori della domenica e figli di Troia vari presero il mare, una volta espugnata la cittadella di Mani Pulite con il cavallo – appunto – di Troia del volgere la “questione morale” in “questione istituzionale” (le menate sul maggioritario vs. proporzionale e il marchingegno di trasformare un voto elettorale, in larga misura inquinato, nel supremo oracolo della Verità).
Il primo capitano Silvio Odisseo, baciate le rosee dita e qualcos’altro dell’Aurora (ma le prime luci dell’alba lo confusero: forse si trattava soltanto del colonnello Gheddafi), diede il via alle falangi achee della casta politica nel lanciarsi ad affrontare i perigli del viaggio. Lui si pose arditamente alla guida della triremi in rotta verso l’isola di Itaca, luogo felice di libertà e di abolizione delle tasse.
Ma essendo uomo “dalle molte astuzie” maldestre, Silvio Odisseo riuscì abilmente nell’impresa di cacciare nei guai l’intero equipaggio: per bearsi al canto delle sirene il nocchiero pasticcione tappò con la stoppa le orecchie degli altri naviganti rendendoli così sordi a ogni richiamo del buon senso, tanto che, di conseguenza, il natante iniziò il suo vagabondaggio senza rotta raggiungendo inevitabilmente i bordi dell’abisso; fidando nelle proprie presunte doti imbonitorie, affinate dalle televendite e nei consessi meneghini già presieduti dal tragico sovrano guerriero Bettino Agamennone, pretese di rabbonire il ciclope guercio d’oltreoceano assecondando senza se e senza ma la sua guida demente George W. e precipitando la compagine nazionale in mortali guerre asiatiche senza capo né coda; ritenendosi grande comunicatore continuò ad avvolgere ogni sorta di malefatta nei fumi rituali della sua chiacchiera ininterrotta e adducendone ogni responsabilità a pallidi simulacri inventati (le toghe rosse, i giornalisti terroristi, i comunisti).
Dopo tanti anni e tante sofferenze anche la ciurma di Silvio Odisseo iniziava a dare segni di insofferenza. Finché non apparvero all’orizzonte le coste di un arcipelago fatato dai nomi esotici: Villa Certosa, Arcore, Palazzo Grazioli… Era il regno della maga Circe e delle sue ancelle, riconoscibili per una farfallina tatuata laddove non batte il sole. Qui avvenne il supremo incantesimo: la trasformazione in maiali grufolanti dell’intera compagine, Silvio Odisseo in testa. Compreso pure il disertore ufficiale del viaggio, il donnaiolo mignon Tersite Bocchino.
Così i maiali vennero confinati in un recinto nella nuova Troia, questa volta non sul Bosforo ma in quel di Puglia, e la nave fece definitivamente naufragio contro gli scogli della Bce.
Nell’Olimpo di Strasburgo crebbe la preoccupazione e una divinità iperborea di nome Angela M., offesa dai commenti sboccati sulle sue terga, propose di punire con la folgore di Zeus l’autore dell’insulto e i suoi compatrioti. Anche perché l’altro equipaggio messosi sulla scia di Silvio Odisseo, con alla barra i trioscuri da Terza Via Bersani – Veltroni – D’Alema, aveva rapidamente finito per attraccare sulle coste dei Lotofagi, nutrendosi del fiore che cresce colà e induce totale smemoratezza. Sicché ormai anche questi viaggiatori erranti non si ricordavano più che cosa ci stessero a fare e cambiarono mestiere: Bersani divenne il suggeritore di nonsense per umoristi in crisi di creatività, Veltroni allestì un drugstore dove vendere caramelle, poster anni Ottanta e dischi vintage, D’Alema si riciclò con un certo successo in manichino per abiti da cerimonia ed eventi vaticani.
Ma fu tutto inutile: la folgore arrivata dal Nord incenerì sia gli uni che gli altri. E noi con loro.