Tutto regolare, stanno solo per arrivare gli alieni. E intanto la vita di Luca (Gabriele Spinelli) scorre triste e aggrovigliata su se stessa, come sempre. Luca lavora in una squallida sala Bingo, va a puttane perchè tanto le donne sono tutte troie visto che la madre ha abbandonato la famiglia quando lui era piccolo, ma è segretamente innamorato della sua vicina di casa. Che spia ma con cui non ha mai parlato. Il suo unico amico è un trans e ogni tanto va a trovare il padre (un grande, al solito, Roberto Herlitzka) che dal giorno dell’abbandono vive recluso in campagna in condizioni pietose. E il Tg3 annuncia l’avvento dei marziani.
L’inizio de L’ultimo terrestre, esordio del fumettista Gian Alfonso Pacinotti, ovvero Gipi, è molto buono. L’immagine del cielo stellato, degli spazi siderali e lontanissimi, con in sottofondo la radio: la “zanzara” Cruciani riceve telefonate sull’incredibile imminenza. Un ascoltatore si preoccupa di quel che accadrà al vivaio del Cesena calcio perché poi gli alieni prenderanno il posto dei giovani giocatori autoctoni. Ovvio, no? La macchina da presa scende, dal cielo alla terra, sull’auto in cui è rintanato Luca. Che sta chiamando col cellulare una prostituta. Sul suo finestrino si riflette l’immagine di un’enorme cartellone pubblicitario con una famiglia sorridente: “Entra nella famiglia felice”, gli dice la donna al telefono. Luca segue le indicazioni, ed entra in un mobilificio dove lei riceve i clienti. Nella scena successiva vediamo la casa del protagonista: spoglia, brutta e assurda. Perché ha la piscina, ma è vuota e ci stagnano le zanzare. Il suo quartiere invece è uno scenario dechirichiano da cui l’umanità è fuggita da tempo. Poi Gipi ci presenta la sala Bingo dove il nostro lavora, popolata di suore, tettone, bavosi e colleghi mostruosi. Uno dice che vuole chiamare suo figlio Palabingo, così gli danno dei soldi: un figlio monetizzato, una pubblicità vivente.
Ecco: la prima sequenza de L’ultimo terrestre, dove vengono presentati ambienti e personaggi, è un patto di surrealtà con lo spettatore. Per raccontare un mondo in cui le persone sono sole, hanno rapporti violenti e utilitaristici, un’ironica surrealtà è una strada intelligente: evita il patetico e coglie il segno. E l’arrivo degli alieni – raccontato nel fumetto di Giacomo Monti da cui è tratto il film – che pare così ovvio a tutti, è la traccia perfetta per raggiungere il massimo del surrealismo. Ma il lavoro di Gipi non è così omogeneo come il suo incipit e se qualcosa si può rimproverare al “primo ciak” di Pacinotti è di non mantenere l’equilibrio stilistico nel raccontare l’anormale normalità in cui viviamo e le vere implicazioni di senso di questa accettazione, che prendono forma piena nell’incredibile avvento. La scena in cui Herlitzka insegna all’aliena a piantare un pomodoro, per esempio, è perfetta. E quella in cui l’aliena sgrana gli occhioni nel letto, al ritorno del suo “uomo” ubriaco fradicio, pure. Ma quando Gipi si addentra nelle psicologie dei personaggi in maniera “tradizionale”, attraverso svolte narrative molto esplicite, forti e inaspettate, quello strato di ghiaccio sottile su cui si reggono i momenti migliori del film tende a sgretolarsi. Quasi come se il regista stesso smascherasse troppo platealmente il proprio gioco. Ok, gli alieni siamo noi. Ma il percorso psichico di Luca, l’impossibilità di amare, il senso di colpa, la presa di coscienza: tutto narrato in modo tale che quel patto iniziale tende a cadere, lasciando un senso di squilibrio e disomogeneità. Un bell’esordio imperfetto, con dettagli geniali non perseguiti su tutta la linea. L’ultimo terrestre è rifinito con grande gusto, ma mescola un po’ troppi toni non sempre ben accostati tra loro.