Ed in effetti – lo sappiamo benissimo – se c’è qualcosa che dà l’idea della profonda ingiustizia della nostra società è appunto lo spreco di cibo. Si calcola che nel mondo occidentale si sprechi mediamente nella catena alimentare il 30% dei prodotti, con una punta ovvia del 50 % negli Stati Uniti. Si va dai cosiddetti “eccessi di produzione”, ai sopra ricordati scarti dei supermercati, agli sprechi delle mense e in famiglia (alimentati questi ultimi da acquisti eccedenti le necessità fagocitati dai supermercati). In Italia basti pensare alle arance della Sicilia (lo sapevate in compenso che l’80% del succo d’arancia l’Europa lo importa da Stati Uniti e Brasile?).
Ma Stuart non è solo in questa scelta: c’è addirittura un movimento che si riconosce in questa filosofia di vita che si chiama freegan (acronimo delle parole free, libero e vegan, alimentazione senza prodotti animali, creato dall’attivista per i diritti degli animali statunitense Alan Weissman). Oggi peraltro la parola freegan esula dal suo contesto originario e sta ad indicare tutti coloro che adottano la tecnica di rovistare tra i rifiuti, indipendentemente dalle loro abitudini alimentari. Del resto, lo stesso Stuart alleva e mangia maiali…
È chiaro che i freegan, se da un lato approfittano della situazione di sovrabbondanza, dall’altro, con la loro azione, lanciano un monito ben preciso alla nostra società, e cioè produrre di meno e consumare meglio. Senza contare il valore del comportamento individuale. Come dice Tristram Stuart: “Compra solo ciò di cui hai bisogno, e mangia tutto quello che compri”.
Lo stesso Stuart, per pubblicizzare l’enormità degli sprechi, ha organizzato in Trafalgar Square a Londra, il 16 dicembre 2009, un megapranzo per 5.000 persone, solo ed esclusivamente utilizzando prodotti di scarto. Neanche a dirlo, la manifestazione è stata un grosso successo, è c’è da scommettere che nessuno si è sentito male!
Nella stessa ottica dei freegan, il prof. Andrea Segré dell’Università di Bologna ha promosso l’iniziativa Last Minute Market (recentemente estesa al Piemonte grazie a Slow Food), che ha messo a punto fin dall’anno 2000 un sistema professionale di riutilizzo di beni invenduti dalla grande distribuzione.
Beh, adesso vi devo lasciare: vado a rovistare.
Foto di Laura Olivieri