Da poco più di una settimana l’intero archivio del Cablegate è stato messo online integralmente da Wikileaks. Senza più i filtri dei media. Un’azione di emergenza necessaria secondo l’organizzazione perché la password per decriptare tutti i documenti si stava diffondendo a macchia d’olio già da qualche mese. La password era stata infatti resa pubblica dal giornalista del Guardian David Leigh nel suo libro pubblicato a febbraio insieme a Luke Harding WikiLeaks: Inside Julian Assange’s War on Secrecy. Ed è la seguente:
CollectionOfHistorySince_1966_ToThe_PresentDay#
In più andava aggiunta la parola “Diplomatic” prima di “History”.
Gli autori del libro hanno così rivelato al mondo intero la chiave per decriptare tutti i cablogrammi di Wikileaks. E l’organizzazione di Assange ha condannato la negligenza del Guardian, suo media partner fino a pochi mesi fa. Dunque, dopo che per oltre un anno numerosi media e governi hanno criticato Wikileaks per aver messo in pericolo molti informatori e vite umane con i suoi documenti “top secret”, in particolar modo quelli sulla Guerra in Afghanistan, l’ironia della sorte vuole che siano stati i media stessi (il Guardian nello specifico) a pubblicare “la chiave magica” che avrebbe permesso agli utenti di accedere ai cablo e identificare alcuni nomi sensibili.
Secondo l’organizzazione di Assange, il Guardian avrebbe così violato l’accordo di sicurezza firmato da Wikileaks e l’editore del quotidiano britannico, Alan Rusbridger. Accordo che includeva anche che i cablogrammi non pubblicati venissero messi al riparo dai servizi segreti. Ciò significava tenerli custoditi in computer non connessi a Internet. Condizione tuttavia mai rispettata dal Guardian.
Ma la risposta del media britannico non si è fatta attendere. Sintetizzando il Guardian ha contrabbattuto che, sì, la password è stata pubblicata sul libro, ma credevano fosse una password temporanea. E se le menti di Wikileaks pensavano che questa avrebbe potuto compromettere la sicurezza dei documenti, avevano sette mesi per cambiarla.
Nel frattempo tramite l’account di Wikileaks su Twitter, è stato chiesto agli utenti di votare se fossero stati d’accordo o meno alla pubblicazione dei documenti senza essere redatti. Potevano dare il proprio voto su Twitter scrivendo “WLVoteYes” o “WLVoteNo”. Così Wikileaks ha deciso di pubblicare integralmente tutti i documenti, ora definiti Cablegate2. E ha creato due fazioni opposte: da un lato coloro, tra cui la maggior parte dei media, che hanno condannato il gesto di Assange, e dall’altro quelli che approvano la pubblicazione integrale. Gli stessi che già su Twitter appoggiavano l’organizzazione.
Adesso, secondo molti, i documenti del Dipartimento di Stato Americano sono online senza filtri e potrebbero mettere in pericolo gli attivisti e gli informatori, che risulterebbero esposti a ritorsioni. Così, la protezione delle proprie fonti, principio cardine del giornalismo, è stata messa in discussione. I critici di Wikileaks e del suo funzionamento sono ora più duri che mai. E’ altrettanto vero però che i cablogrammi, come ha affermato anche Assange in una intervista rilasciata al New Scientist, erano già di pubblico dominio ancor prima che Wikileaks decidesse di metterli tutti online. Molti cablo, infatti, giravano già su Twitter non redatti. Inoltre spesso i documenti venivano filtrati da una stampa internazionale faziosa. Allora chi ha ragione?
Intanto Al Jazeera chiede aiuto agli utenti per selezionare l’enorme mole di cablo. A loro spetterà il compito di cercare qualche storia piccante tra i 250mila documenti per poi rispedirla ad Al Jazeera che si occuperà di trasformare le segnalazioni in storie. In alternativa le informazioni identificate potranno essere condivise attraverso Twitter utilizzando l’hashtag #wlfind. Questo perché, secondo quanto dichiarato dall’organizzazione di whistleblower, “il mondo intero della stampa non ha sufficienti risorse e ci sono notevoli pregiudizi”.
Dunque che ne sarà di Wikileaks? Le indiscrezioni, gli errori e la confusione degli ultimi mesi potrebbero far crollare il sito di Assange e i “siti cloni”, ormai numerosi. Forse i whistleblower non si sentiranno più sicuri di parlare. Ma di certo si è formato per la prima volta un archivio pluralista di informazioni, lontano dai controlli politici, economici e statali, che incoraggia la gente a partecipare alle informazioni e a commentarle.