Basta essere un padre di famiglia, non un economista, per sapere che non sono le iniziative una tantum, ma gli interventi strutturali che possono ridurre realmente il rapporto tra debito e Pil e che sono più recessivi gli aumenti di tasse che i tagli alla spesa. Dopotutto, per dare un senso a sacrifici come quelli decisi dalla manovra governativa occorrerebbe una strategia, diciamo di accompagnamento, che stimoli fiducia, con regole che anche di fronte al timore di una recessione incombente facilitino attività economica in nuovi settori. Invece, non solo i sacrifici sono ripartiti in maniera iniqua, ma serviranno solo a continuare a pagare interessi sul debito e a rassicurare il mercato, che potrà continuare a giocare sulle nostre spalle, come ha fatto sinora.

Partiamo dall’energia, un settore di straordinaria rilevanza strategica e con enormi implicazioni future, sia sul versante economico, che ecologico e sociale. In questo ambito la manovra si rivela assurda, poiché non ha contemplato alcuna iniziativa di sviluppo del settore “green”, fra i pochi che nel biennio abbia prodotto lavoro e reddito. Non c’è alcuna misura semplificativa per incentivare impianti nuovi o sperimentali e comunque in linea con il decentramento dell’offerta energetica che accompagna la diffusione delle rinnovabili, così gradita ai comuni più “virtuosi” e attenti ai cittadini. Si è perfino persa l’attenzione agli sgravi fiscali mirati al risparmio. Perché – ci domandiamo – non c’è stato un annuncio dell’estensione della detrazione del 55% stabile per i prossimi cinque anni per interventi di efficienza energetica? Tremonti non ha provato a pensare a quanta Iva avrebbe incamerato? Bastava che conteggiasse quanta ne ha recuperata solo lo scorso anno grazie a un fotovoltaico che ha superato i 10.000 MW.

L’intervento invece è consistito nell’inasprimento di una tassa, la cosiddetta Robin Tax“, la cui storia ed evoluzione meritano di essere conosciute come esempi di una perversa fantasia al potere. Si tratta di una maggiorazione dell’aliquota Ires introdotta nel 2008 dall’attuale Ministro dell’Economia quale misura “etica” per tassare i profitti dei petrolieri e degli speculatori accusati dei prezzi record del petrolio e della benzina raggiunti nel corso di quell’anno, con lo scopo di utilizzarli come forma di sostegno alle persone bisognose attraverso la “Social card” (un’altra delle geniali invenzioni del presente governo!). Tanto per capire come procede da noi la politica fiscale e quale sia il suo rapporto con la strategia di sviluppo del Paese, nel 2009, con la legge n. 99 (ex Ddl Sviluppo), l’aliquota venne portata dal 5,5 al 6,5%, destinando i nuovi proventi al finanziamento dei giornali di partito.

Ora le norme approvate mutano di nuovo il quadro, ampliando il novero delle attività energetiche cui si applica la citata maggiorazione e includendovi anche le attività di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica. Nel caso specifico delle fonti rinnovabili (biomasse, solare-fotovoltaica, eolica), viene abolita l’esenzione che le riguardava fino ad ora e si estende anche ad esse l’incremento dell’addizionale dal 6,5% al 10,5%.

Perché una tassa per una categoria industriale specifica come quella dell’energia, oggi in profonda trasformazione? Di fatto, colpendo il settore, si rischia di ridurre gli investimenti che sono urgenti per migliorare la rete elettrica e permettere l’utilizzo efficiente della produzione rinnovabile, che viene con una mano incentivata e con l’altra scoraggiata con più tasse.

In conclusione, che dire di un governo che aveva millantato il piano nucleare con l’obiettivo di ridurre il costo dell’energia ma nei fatti continua a considerare il settore come un paniere a cui attingere a richiesta? Probabilmente l’obiettivo è quello di tirare avanti il più possibile sulle spalle dei contribuenti, non di avere a cuore la vita, il lavoro e la salute delle persone che abitano il Paese.

A cura di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

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