Gessato grigio, camicia antracite e accattivante voce da basso. Perfetta per accompagnare l’ascoltatore. Di Alaa al-Aswany, il più importante scrittore egiziano contemporaneo, i lettori italiani hanno conosciuto e amato i romanzi “Palazzo Yacoubian” e “Chicago“, entrambi editi da Feltrinelli. La stessa casa editrice ha mandato in libreria venerdì scorso “La rivoluzione egiziana“, una raccolta di articoli e interventi di al-Aswany apparsi su diversi giornali egiziani. Il più vecchio risale al 5 novembre del 2006; gli ultimi raccontano già delle difficoltà del dopo-Mubarak.
“Quel giorno ero a casa – dice al-Aswany – Mi ero alzato presto per lavorare a un capitolo del mio nuovo romanzo. Sapevo che c’era la manifestazione ma pensavo che sarebbe stato un corteo come tanti altri a cui avevo partecipato con i miei amici di Kifaya (il movimento di opposizione di cui al-Aswany è uno dei fondatori, ndr). Pensavo insomma che saremmo stati due o tre cento, come sempre, circondati da tremila poliziotti. Così mi sono detto: ‘Finisco il capitolo e poi vado a salutare gli amici’. Dopo pranzo ho acceso la tv e ho visto cosa stava succedendo. Sono scappato fuori e sono andato in piazza Tahrir, dove sono rimasto fino alla cacciata di Mubarak”.
Cinque anni prima, a novembre del 2006, al-Aswany aveva scritto di un episodio rimasto invisibile per i media occidentali. Era l’Eid al-Fitr, la festa che chiude il Ramadan, quando nel centro del Cairo centinaia di giovani si sono abbandonati a quattro ore di “molestie sessuali di massa”, aggredendo, spogliando, umiliando qualsiasi donna capitasse a tiro. Allora Alaa scrisse: “Il grande collasso è già cominciato. L’Egitto sta andando in pezzi”. L’articolo finiva così: “Tutti abbiamo il dovere di agire per salvare l’Egitto da un futuro cupo come quello che si profila all’orizzonte, e l’unico modo per farlo è attraverso una democrazia reale che restituisca al Paese la sua umanità, i suoi diritti, la sua dignità e i suoi comportamenti civili”. Un’esortazione raccolta prima dai giovani di piazza Tahrir e poi da milioni di egiziani che hanno appoggiato la rivolta. Dice ancora al-Aswany: “Gli egiziani che ho conosciuto durante e dopo la rivoluzione sono diversi dagli egiziani di prima. C’è stato un cambiamento antropologico. Il primo cambiamento riguarda proprio le donne”. Aswany dice con orgoglio che almeno 600 mila donne hanno partecipato alle proteste in piazza, dormendo fuori, nelle tende: “Non conosco nemmeno un caso di molestie sessuali avvenute in quei giorni”. Un altro episodio: “Ero in piazza e avevo appena finito un pacchetto di sigarette. Mi si avvicina una signora, anziana, che mi saluta affettuosamente, e mi dice che ha letto tutti i miei libri. Poi mi guarda e con un tono imperioso mi fa: ‘E ora raccolga quel pacchetto di sigarette e lo getti nel cestino. Stiamo costruendo un nuovo Egitto e deve essere pulito'”.
E’ la sua fiducia per questo cambiamento che lo spinge a dire che episodi come l’attacco all’ambasciata israeliana scorso sono azioni messe in piedi da quello che resta degli apparati di sicurezza di Mubarak per rovinare l’immagine della rivoluzione e per far credere agli egiziani che il paese rischia il caos. “Com’è stato possibile che per diverse ore centinaia di persone lavorassero a demolire il muro attorno all’edificio senza che la polizia intervenisse? – chiede al-Aswany – Ci sono prove fotografiche raccolte dai manifestanti che dimostrano che le persone davanti l’ambasciata erano le stesse che poche settimane fa, quando si è aperto il processo a Mubarak, fuori dal tribunale hanno assalito i familiari delle vittime della repressione”. A seminare il caos sono i gruppi della controrivoluzione, gli esponenti degli apparati di sicurezza non ancora epurati, i vandali e i criminali comuni liberati dalle prigioni nei primi giorni della rivoluzione per ordine dell’ex ministro dell’interno Habib al-Adli; sono i poliziotti e i gli agenti dei servizi segreti, quelli che hanno torturato e ucciso migliaia di egiziani e hanno paura ora di finire in prigione. A cercare di seminare il caos sono quanti si sono arricchiti sotto la dittatura, i corrotti, i corruttori. Contro di loro, secondo al-Aswany, rimane in piedi una vigilanza popolare che non fa sconti nemmeno al governo provvisorio e al Consiglio supremo militare che regge temporaneamente l’Egitto: “Il giorno dell’assalto all’ambasciata israeliana, c’era un milione di persone in piazza Tahrir a manifestare per chiedere al consiglio supremo militare di smetterla con i processi davanti alle corti marziali. La piazza chiedeva anche di accelerare quei cambiamenti senza i quali la rivoluzione rimarrà incompleta, come la soppressione del ministero dell’Informazione e dei servizi di sicurezza interna. L’assalto all’ambasciata ha oscurato questa manifestazione, specialmente sulla stampa internazionale, e ha alimentato l’immagine di un paese preda dei fanatismi. I fanatici, però, sono come batteri anaerobici: se si mette ossigeno, questi batteri muoiono. La democrazia è l’ossigeno che ci serve”.
di Joseph Zarlingo