Cooperativa Andromeda, l’ultimo mistero dell’inchiesta sulla presunta estorsione a Silvio Berlusconi. Ci ha lavorato Gianpaolo Tarantini, ma la gestisce il cognato del boss della ‘ndrangheta Natale Alvaro. Su mandato della Procura di Napoli, la Digos ne ha perquisito gli uffici romani di viale Castro Pretorio.
Gli inquirenti vogliono appurare se anche questo finto impiego (lo ammette lo stesso Tarantini in interrogatorio) faccia parte del pacchetto di “utlità” concesse dall’entourage del premier all’imprenditore per evitare che facesse rivelazioni imbarazzanti sul caso escort nel processo di Bari in cui era imputato. Il nodo della presunta estorsione, appunto.
Tarantini trova lavoro nella cooperativa Andromeda, che si occupa di facchinaggio e servizi, nel maggio 2010. “Guadagnavo duemila euro al mese per cinque ore di lavoro, anche se in tutto lavoravo un’ora al giorno”, ha spiegato in un interrogatorio riportato da Il Messaggero. E aggiunge: “So che almeno mille euro della mia retribuzione erano versati da Lavitola”. E, si legge sempre sul quotidiano romano, sarebbe stato Nico D’Ascola, il legale messo al fianco di Tarantini dall’avvocato del premier Niccolò Ghedini (che smentisce tutto, guarda il video), a segnalargli l’opportunità d’impiego indicandogli un’inserzione uscita su Il Tempo.
Soltanto che Andromeda farebbe capo a Bruno Crea, gestore di un piccolo impero di cooperative che fatturano milioni di euro. Crea è cognato di Natale Alvaro, condannato a 11 anni per la sua partecipazione alla ‘ndrina degli Alvaro di Sinopoli, nella Piana di Gioia Tauro. Gli Alvaro, colpiti nel 2007 da un’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, sono considerati una cosca emergente, forte della stretta alleanza con i Piromalli.
Nell’interrogatorio, Tarantini racconta che Valter Lavitola, l’altro protagonista della presunta estorsione a Berlusconi, era “amico del titolare dell’azienda”. Andromeda lavorerebbe anche per aziende vicine a Berlusconi. Ora i pm Henry John Woodcock, Francesco Piscitelli e Francesco Curcio vogliono capire come si sia creato questo intreccio.
Non è la prima volta emergono contatti tra il “circolo” di Silvio Berlusconi e il vertice della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, rappresentato dal cartello dei clan Piromalli e Alvaro. Resta celebre una pubblica dichiarazione di voto per il Cavaliere del padrinoGiuseppe Piromalli, all’epoca della “discesa in campo”, e si registrano ben più recenti contatti tra esponenti del clan calabrese e il senatore Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia.
Contatti incontrovertibili tra il clan Piromalli e lo storico braccio destro di Berlusconi, Marcello Dell’Utri, sono emersi nell’ambito dell’inchiesta Cento anni di storia, ancora contro gli Alvaro, i Piromalli e un’altra famiglia alleata, i Molè. Bruno Crea non era indagato, ma dalle carte emergevano i suoi contatti con diversi personaggi finiti nel mirino degli inquirenti.
Nell’inchiesta, la procura di Reggio Calabria tiene sotto controllo Aldo Micciché, ex politico democristiano condannato per vari reati e da tempo fuggito in Venezuela. Micciché è intercettato più volte al telefono con Antonio Piromalli, figlio del padrino Giuseppe detto Facciazza. Quando si avvicinano le elezioni politiche del 2008, Micciché si attiva per organizzare la campagna elettorale di un candidato del centrodestra in Sudamerica, Ugo Di Martino, che non sarà eletto. Nel contempo, Micciché si attiva su un tema politico che sta molto a cuore ai boss: l’alleggerimento del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi.
Dopo aver tentato senza successo un approccio con il ministro della Giustizia Clemente Mastella, Micciché si rivolge a Marcello Dell’Utri. E trova subito udienza. Ottiene dal senatore la disponibilità a un appuntamento per Gioacchino Arcidiaco, legato da una strettissima amicizia ad Antonio Piromalli. «La Piana è cosa nostra, facci capisciri (…)”, spiega Micciché ad Arcidiaco. “Vai, parlare con Marcello Dell’Utri, parliamoci chiaro, significa l’anticamera di Berlusconi… forza!”. Arcidiaco è ricevuto dal braccio destro di Silvio Berlusconi il 3 dicembre 2007, nell’ufficio di via Senato 12 a Milano.
Gli investigatori documentano l’incontro, ma non possono verificarne i contenuti. Il giorno dopo, si legge nell’ordinanza del tribunale di Reggio, Arcidiaco è di nuovo nell’ufficio del senatore per incontrarsi con i responsabili giovanili di Forza Italia e organizzare la nascita di Circoli della libertà nella Piana di Gioia Tauro e in Aspromonte. Dell’Utri non è indagato. I magistrati vorrebbero sentirlo come persona informata sui fatti, ma il senatore sceglie di avvalersi della facoltà di non rispondere, in quanto imputato di reato connesso (il processo per mafia a Palermo). Di Micciché dice ai giornali: “È una persona con la quale ero qualche mese fa in contatto per ragioni di energia”.
Storie che fanno tornare in mente il 24 febbraio del 1994, quando Silvio Berlusconi era impegnato nella sua prima campagna elettorale. Dalla gabbia del tribunale di Palmi, Giuseppe Piromalli gridò: “Voteremo Berlusconi”. Achille Occhetto, il candidato del centrosinistra, ricordò l’episiodio in un confronto radiofonico con il Cavaliere. Che replicò: “Nessuno può sapere per chi vota la mafia. Non avevo notato quella ‘uscita’. Confesso di non conoscere in modo approfondito quel fenomeno”.