Dal 1994 a oggi la situazione non è mai cambiata: le strutture in mano alla Cei hanno ricevuto in media qualcosa come un milione di euro all'anno
La delibera, presentata dalla consigliera comunale Pdl Valentina Castaldini (presidente della commissione affari costituzionali e, ricordiamolo, la stessa finita nella bufera rimborsi spesa per aver partecipato alla summer school sorrentina di Maurizio Lupi targata Comunione e Liberazione), è stata approvata da centro sinistra e centro destra. Nonostante l’emendamento presentato dal Pd, che proponeva “la futura rivisitazione di tutta la materia” dopo una discussione partecipata, l’ok del consiglio comunale ha trovato la sola opposizione dei consiglieri del Movimento 5 Stelle e del gruppo Amelia per Bologna.
Dunque, al momento, in piena giunta Merola, qualunque modifica è rimandata almeno di un anno. “Ci era stata assicurata un’istruttoria pubblica prima del voto”, denuncia Cathy La Torre, consigliera Sel. “Solo dopo un’analisi tecnica che faccia emergere i reali bisogni delle diverse gestioni, potremmo dare un giudizio politico per stabilire se e quanto serve alle singole scuole. Se entro un mese non si apriranno i lavori, noi daremo battaglia. Chiederò una raccolta firme tra i consiglieri per far partire un’istruttoria”.
Il “sistema” delle scuole private: una storia lunga 17 anni. Aspettando l’istruttoria, come funziona il “sistema” dei finanziamenti alle scuole dell’infanzia private? E quanto ne risentono le materne comunali e statali? Per capire, è necessario seguire le tappe.
Siamo nel dicembre 1994, giunta Vitali. La delibera comunale numero 452 introduce il sistema integrato che inserisce le private fra le scuole sostenute dallo Stato e stipula una convenzione per il riconoscimento dei contributi. Fino a quel momento non era previsto niente da parte di Regione e Comune in aggiunta ai 3 milioni e 900 mila lire concessi dal ministero dell’istruzione a quelle sezioni che accoglievano gratuitamente almeno un bambino.
Il pubblico ha raggiunto la piena autosufficienza scolastica, si dirà, per cui i fondi in eccesso si possono spostare su altre voci del bilancio. Sei mesi dopo, con una nuova delibera (stavolta al bilancio c’è il neo insediato assessore Flavio Delbono), verrà annunciata un’“emergenza educativa” e così, dal 1995, iniziano concretamente i finanziamenti alle materne private. Motivo: supportare il pubblico e i suoi costi.
Un particolare: le materne private sono tutte di matrice cattolica tranne due, la steineriana e la Kinder Haus, parificate ma non convenzionata. Difatti l’unico criterio per accedere ai contributi è l’iscrizione alla Fism (Federazione italiana scuole materne, organismo riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana), associazione che rappresenta gli istituti cattolici con cui l’amministrazione di Bologna ha stipulato la convenzione. Ed è significativo che nel ’94 le classi aderenti erano 50 mentre ora sono 73 (in 28 scuole). Il Comune di Bologna ha quindi in essere da oltre 15 anni una convenzione con scuole confessionali, come fa notare il Comitato Art. 33, il movimento di cittadini che a giugno aveva presentato il quesito referendario (bocciato) sulla questione dei finanziamenti alle federate.
Tra il ’98 e il 2001: i contributi bastano, anzi no, ne servono altri. Proseguiamo. Dal 1998 il governo Prodi innalza i contributi statali fino a raddoppiarli. Nel 2000 la legge di parità (62/2000) riconosce poi agli istituti non pubblici il titolo di “scuole private paritarie” e un contributo che attualmente ammonta a circa 13 mila euro all’anno a sezione (classe).
Questo avrebbe dovuto annullare la supposta necessità dei contributi comunali. E invece no. Nel 2001 una legge regionale (26/2001) concede ulteriori finanziamenti ai “progetti volti a garantire e a migliorare i livelli di qualità dell’offerta educativa”. Non diretti alla scuola o a garantire l’istruzione generale e la sua diffusione, dunque, ma a progetti di qualificazione generati dalla “libera iniziativa” di quelle che in ogni caso restano imprese private.
Così il risultato per le scuole private convenzionate del capoluogo emiliano è un triplice stanziamento, attualmente così suddiviso: 12 mila euro per classe dal Comune, 70 mila per scuola e circa 100 mila di incentivi calcolati in base a indicatori di qualità. Risultato: 1 milione e 55 mila euro. A questi si aggiungono i 13 mila per classe provenienti dalle casse dello Stato e i circa 2.500 per scuola finalizzato al mantenimento del servizio di coordinamento pedagogico.
È possibile che le materne private abbiano veramente bisogno di tutto questo denaro? Appartenendo alle proprietà della Chiesa, il bilancio di ogni scuola è inaccessibile, tranne che per la non cattolica Kinder Haus, dove la retta mensile ammonta a 900 euro mensili. Come fa notare Maurizio Cecconi, portavoce del Comitato Art. 33, prima dell’estate si sarebbe potuta attivare una decina di sezioni di scuola dell’infanzia, sufficiente a coprire le richieste in lista d’attesa.
Invece sono oltre 300 i bimbi che rimangono fuori dalla classe perché non hanno trovato posto negli asili comunali e statali bolognesi (100 per l’esattezza, che accolgono l’83% dei bimbi). Ed è questo il punto decisivo: la riconversione dei contributi verso il pubblico permetterebbe di ampliare l’offerta soddisfacendo la richiesta di tutti quei genitori che fanno domanda d’iscrizione nel pubblico, ma che devono rivolgersi al privato convenzionato (e cattolico). Sempre ammesso che possano permetterselo.
Si potrebbe almeno in parte così spiegare l’aumento delle iscrizione alle private degli ultimi anni (il 23% di bambini in più). Da almeno 3 anni il Comune chiede allo Stato scuole (cioè insegnanti). Anni nei quali la popolazione in età scolare è cresciuta di 686 unità. Invece il corpo insegnanti viene dimezzato a causa dei tagli della riforma Gelmini e della sopraggiunta manovra finanziaria. E mentre il pubblico soffre, il privato vede le elargizioni invariate, anzi aumentate: nel 2009 ricevevano dal comune di Bologna circa 1 milione e 22 mila euro.