L’altra sera al Tg1 una minzolina bionda presentata come “nostra inviata” nel senso che la paghiamo noi, interrogava severamente il procuratore di Napoli, Lepore, come se fosse lui l’imputato. Il tono era quello del “come si permette di convocare il premier?”. L’alto magistrato tentava di difendersi come poteva, ma l’impressione che i telespettatori ne ricavavano era che fosse (lui) reticente. Non si batteva il petto, non si discolpava, non chiedeva scusa per aver osato tanto.
Intanto, dalle nuove intercettazioni, oltre alla conferma che aveva ragione l’Espresso sulla telefonata in cui B. istiga Lavitola alla latitanza, si scopre che gli ha pure garantito l’assoluzione: “Vi scagiono tutti”. Ecco, oltre all’imputato, al testimone e al pagatore dei medesimi, ora fa pure il giudice (a quando il cancelliere?). Tanto la cosiddetta informazione l’ha già assolto, dando per scontato che la legge è uguale per tutti fuorché per lui. Il caso ultimo è da manuale: non la solita indagine per uno dei tanti reati commessi da B., ma l’evenienza del tutto inedita di un’inchiesta su un reato commesso ai suoi danni. Dunque lui, com’è sempre avvenuto in tutto il mondo, dev’essere sentito come testimone-parte offesa: obbligato a presentarsi, a parlare e dire la verità. E, siccome non deve difendersi da nulla, senz’avvocato.
La legge parla chiaro: se il testimone non si presenta la prima volta per un impedimento (che dev’essere legittimo, non una missione all’estero inventata apposta per l’occasione), può rinviare di qualche giorno. Ma poi, se continua a scappare, lo vanno a prendere i carabinieri. Siccome però è un parlamentare, per l’accompagnamento coatto occorre il permesso della Camera. E la maggioranza, essendo roba sua nel senso che se l’è mezza nominata e mezza comprata, lo negherà. A quel punto, ai giudici non resterà che rivolgersi alla Consulta per sollevare conflitto di attribuzione contro il Parlamento della (ultima) vergogna.
Intanto in carcere c’è un signore, Tarantini, che attende di sapere se i giudici che l’hanno arrestato sono competenti: per saperlo occorre sentire B. su modalità, ragioni e luoghi dei pagamenti. Ma questo, ai garantisti all’italiana, non interessa. Infatti, anziché chiamare le cose con il loro nome, si son messi a strologare sull’ennesimo “scontro fra giustizia e politica”. Come se un pm che convoca un teste per rispondere alle domande potesse esser messo sullo stesso piano di quel teste che, avendo la coscienza lurida, sfugge alla Giustizia al punto da piegare non solo il Parlamento, ma anche le massime istituzioni europee ai suoi porci comodi.
L’altroieri i siti del Corriere e di Repubblica titolavano sul presunto “scontro”. Ieri il Pompiere, per cambiare un po’, titolava a tutta prima pagina “Sfida tra i pm e Berlusconi”, mentre il pompierino Massimo Franco deplorava la “nuova guerra”. Sugli house organ, scontro e guerra diventavano comicamente “Silvio prigioniero politico”, “Il ricatto dei pm”, “L’ultima minaccia dei pm” (il Giornale), “Vogliono arrestare Silvio” (Libero). Secondo Belpietro, “i pm durante l’interrogatorio tenteranno di far scattare le manette per falsa testimonianza” (non sa, il pover’uomo, che l’arresto in flagranza per false dichiarazioni, voluto da Falcone contro l’omertà delle vittime di mafia, fu abolito da destra e sinistra nell’estate ‘95).
Il Corriere ipotizza addirittura che, per evitare l’inesistente “conflitto istituzionale”, il testimone B. venga sentito con la badante Ghedini al fianco. Unico caso al mondo di teste interrogato col difensore. Il cronista scrive giustamente che, “senza il sostegno del difensore”, l’interrogatorio avrebbe “conseguenze imprevedibili”. Oh bella, e quali? Forse il Corriere vuole comunicarci che un mentitore professionale non potrà che mentire ai pm? E allora perché non lo scrive in prima pagina, invece di farfugliare di “scontri”? Chi pensa che, caduto B., l’Italia tornerà alla normalità è un povero illuso: B. prima o poi passa. Ma questa informazione indecente resta.
Il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2011