Il boss Antonio Pelle

Ha finto di essere malato di anoressia in modo da ottenere gli arresti domiciliari. Era dimagrito così tanto che è stato addirittura ricoverato in ospedale. Poi, da lì, è scappato.

E’ certo un escamotage innovativo e studiato nel minimo dettaglio quello attuato da Antonio Pelle, il “mamma” della ‘ndrangheta calabrese di San Luca. Che è riuscito a dimagrire al punto tale da convincere le autorità di stare male sul serio. E ottenere così, prima, di poter tornare a casa, e poi, da lì, dove pure era controllato a vista dalle forze dell’ordine, di essere ricoverato nell’ospedale da Locri, dal quale è poi riuscito ad evadere.  

Secondo il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, da alcune intercettazioni ambientali si capiva “che Pelle, durante la detenzione, forse con la complicità di qualcuno all’interno del carcere, era riuscito ad avere dei medicinali dimagranti”. Farmaci dei quali aveva fatto un uso spropositato “tant’è”, ha continuato Gratteri, “che era stato necessario ricoverarlo all’ospedale Pertini”. Dalle intercettazioni viene fuori che la perdita repentina di peso fosse volontaria, e che il boss puntasse a scendere velocemente addirittura sotto i cinquanta chilogrammi.”Così mi mandano ai domiciliari”, avrebbe detto. E infatti circa un anno fa, grazie al referto positivo di un gruppo di consulenti, Antonio Pelle aveva potuto fare ritorno nella sua abitazione di contrada Bosco di Bovalino, nei pressi di San Luca. Lo stesso luogo nel quale era stato arrestato dai carabinieri tre anni fa. Poi, cinque giorni fa, il boss è stato ricovero all’ospedale di Locri, e da lì è fuggito.

Secondo il perito che aveva certificato l’incompatibilità di Pelle con il carcere, solo in una prima fase l’anoressia era stata autodeterminata, cioè il detenuto rifiutava il cibo volontariamente, ma successivamente la malattia si era aggravata e si era manifestata nella forma classica. “Era ridotto ad uno scheletro” ricordano oggi in ambienti inquirenti. Da qui la conclusione dell’incompatibilità con il carcere e la concessione da parte della Corte d’assise d’appello, ad aprile scorso, degli arresti domiciliari.

Che le sue condizioni fossero comunque gravi lo testimonierebbe il fatto che in alcune udienze in Corte d’appello per l’accusa di detenzione di stupefacenti relativa alla piantagione di canapa indiana trovata nel suo covo al momento dell’arresto, Pelle era stato portato in barella. Il processo per questo reato avrebbe dovuto riprendere il 29 ottobre prossimo.

Ma su Pelle pendeva già un’altra condanna a 13 anni in primo grado per l’inchiesta Fehida, quella relativa agli scontri tra le famiglie Pelle-Vottari e Nirta-Strangio. Pelle era proprio il capo di una delle due fazioni, la cui faida culminò nella strage di Duisburg: nel giorno di ferragosto del 2007 sei giovani, tutti legati alla cosca PelleVottari, furono uccisi nella cittadina tedesca, davanti alla pizzeria “da Bruno”.

Sulla vicenda della sua evasione è arrivata una nota del vicesegretario dell’Udc e componente della commissione Antimafia Mario Tassone, secondo il quale “si tratta di un episodio gravissimo su cui va fatta immediata chiarezza”. “È inammissibile – ha continuato Tassone – che per una leggerezza del genere si possa pregiudicare e mortificare lo straordinario lavoro compiuto in questi anni da magistrati e forze dell’ordine.” L’esponente Udc ha invocato anche “spiegazioni sull’accaduto al Parlamento e al Paese” da parte del governo. Intanto  il procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, rassicura: “Sicuramente occorre fare una riflessione adeguata ma esprimo anche la speranza che molto presto l’Arma dei carabinieri potrà dare una risposta positiva a quest’episodio”. Poi Pignatone ha aggiunto che “quali misure sono state disposte, quali eseguite o meno, è compito di accertarlo della Procura della Repubblica di Locri”.

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