Poco importa ormai che sia vera o falsa, perché sta diventando uno degli elementi che alimentano la ritrosia tedesca nei confronti dell’Italia. “Berlusconi ha insultato la cancelliera?”, si chiedeva ieri il tabloid tedesco Bild. Tutto sembra credibile, dopo che si è letto dell’intercettazione berlusconiana sul “Paese di merda”.
La situazione è già così delicata che nessuno dei protagonisti può permettersi ulteriori incidenti diplomatici, soprattutto alla vigilia del vertice bilaterale tra Italia e Germania del 21-22 ottobre. Perché il nuovo corso tedesco, sancito dall’uscita del fiscalmente ortodosso Juergen Stark dalla Banca centrale europea, prevede una difesa senza indecisioni dell’Italia di fronte ai mercati. Ieri, a Roma per un vertice col ministro Paolo Romani, si è speso addirittura il ministro e vicecancelliere Philipp Roesler: “Quella dell’Italia è una manovra molto importante, l’approvazione è un segnale di stabilità”. Poi il ministro liberale, leader di un partito, l’Fdp, in pesante crisi di consensi (è al 4 per cento), ha aggiunto: “L’attacco dei mercati contro l’Italia lo percepiamo come un attacco a tutta la zona euro”. Parole che pesano, venendo da un ministro 38enne dalle idee molto nette sulla crisi, tanto da auspicare quasi il fallimento della Grecia e l’uscita dall’euro.
Dopo la fase 2 della crisi, cioè l’esplosione della crisi di sfiducia attorno ai Paesi ad alto debito, siamo entrati nella fase 3: la Germania ha deciso che le conviene salvare la moneta unica, anziché punire i Paesi che hanno sbagliato sul deficit (e magari si sono indebitati per comprare i prodotti dell’export tedesco). Lo dimostra l’esito del colloquio telefonico di ieri sera del cancelliere tedesco con il presidente francese Nicolas Sarkozy: entrambi sono “convinti” che il futuro della Grecia sia nell’euro. Il governo di George Papandreou, da parte sua, si impegna a centrare gli obiettivi di bilancio.
“Ci troviamo nel mezzo di un processo politico molto complesso, molte persone dubitano di un lieto fine. In momenti del genere la tentazione di soluzioni semplici e veloci è grande. Ma non abbiamo davanti soluzioni semplici”, ha spiegato la Merkel sabato in un’intervista a Der Tagesspiegel. Questo significa due cose precise: niente eurobond, cioè il debito europeo anelato dai Paesi come l’Italia che sperano di usare la Germania come scudo per almeno una parte dei propri titoli, ma anche niente disimpegno dalla gestione della crisi. In questa chiave vanno lette le polemiche dimissioni di Juergen Stark, venerdì scorso, dal direttivo della Banca centrale europea: l’economista tedesco ossessionato dall’inflazione non voleva l’Italia nell’euro a suo tempo e contestava la scelta della Bce di comprare i titoli di Stato per rassicurare i mercati. Non è più tempo per gli intransigenti, è il messaggio della Merkel che in 24 ore sostituisce Stark con il più moderato Jörg Asmussen.
Visto che perfino gli Stati Uniti partecipano alla gestione dell’eurocrisi, è sempre più difficile per la Germania resistere nel suo atteggiamento di azionista di maggioranza che rifiuta di essere coinvolto nel momento di difficoltà. Domani, al vertice Ecofin, ci sarà anche il segretario al Tesoro Tim Geithner, a sancire che quello in discussione è il destino comune di Usa e Ue.
Per guidare l’Europa, però, la Germania deve essere compatta. E la Merkel fatica ogni giorno di più a tenere insieme una coalizione in cui diversi partiti, dall’Fdp di Roesler ai conservatori della Csu, ammiccano alla parte più isolazionista dell’elettorato. Se la famosa intercettazione di Berlusconi dovesse materializzarsi, giustificare il salvataggio dell’Italia e del suo governo per la Merkel sarebbe ancora più difficile.
Il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2011