Arrestati per associazione a delinquere aggravata dall’aver favorito il clan dei Casalesi. Ma oltre ai rapporti con la camorra, vantavano di avere contatti anche con politici di primo piano come il senatore Pietro Longo, avvocato di Silvio Berlusconi, e il ministro Gianfranco Rotondi. Longo smentisce categoricamente di conoscerli e averli mai incontrati così come Rotondi.
I presunti contatti emergono dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Perugia, che ha portato in cella 12 persone, 4 ai domiciliari, per una vicenda di investimenti milionari in Italia centrale foraggiati in parte, secondo l’accusa, dal riciclaggio di denaro della camorra casalese. Un fatto è certo. Maurizio Papaverone, uno degli arrestati, è stato segretario cittadino della Democrazia cristiana per le autonomie di Modena fino allo scioglimento del partito (fine 2008), di cui proprio Rotondi era segretario.
Tutto ruota attorno a un giornale, l’Incontro-Altra Informazione, con sedi a Roma, in Piazza San Silvestro (vicino alla Camera dei deputati) e Latina. Il mensile Incontro, primo numero nel febbraio scorso, è di proprietà del gruppo facente capo a Giuseppe D’Urso, definito promotore dell’associazione a delinquere, arrestato ieri per una serie di reati con l’aggravante di aver favorito la camorra casalese, in un’operazione condotta dai Ros dei carabinieri, guidati dal generale Mario Parente, e dai Gico della guardia di finanza, agli ordini del comandante regionale delle Fiamme gialle, il generale Fabrizio Cuneo, su ordine della distrettuale antimafia di Perugia.
Dalle intercettazioni tra il direttore del mensile Giovanni Lucifora, estraneo all’inchiesta, e una collaboratrice, emerge che è D’Urso a fornire le linee guida da seguire per la pubblicazione degli articoli, la scelta degli argomenti e gli spazi pubblicitari. E qui emergono i nomi dei big politici. Nell’intercettazione del 23 febbraio 2011, Giuseppe D’Urso parla con Alessandra Fiorelli, che scrive sull’Incontro ed è estranea all’inchiesta.
L’ascolto così viene riportato nell’ordinanza, firmata dal gip Carla Maria Giangamboni: “D’Urso le sta facendo un accredito al Senato e alla Camera, potrà intervistare chi vuole; D’Urso aggiunge che il Senatore Longo gli fornirà l’accredito per portare mille copie del giornale dentro al Senato e mille copie dentro la Camera. Fiorelli chiede come sia riuscito ad ottenere tale accredito e D’Urso risponde che il suo amico Maurizio (Papaverone) sta andando al Senato per incontrarsi con Longo”. Il senatore è Pietro Longo, estraneo all’inchiesta, avvocato e legale di fiducia di Silvio Berlusconi.
Nella trascrizione, riportata nell’ordinanza, si legge: “D’Urso le dice che anche lui conosce il senatore Longo, in quanto è stato suo avvocato dieci anni fa”. Qualche ora dopo c’è un’ulteriore conferma dei presunti rapporti con Longo. D’Urso parla con Maurizio Papaverone, in cella per gli stessi reati, definito “il punto di riferimento” della banda, “con il ruolo di reperire fondi e contatti con grossi personaggi”. Secondo l’ordinanza, “i due parlano del giornale, quindi Giuseppe dice che l’indomani andrà a Pesaro per incontrarsi con Palazzetti. Papaverone dice che domani vuole andare da Piero ‘il nostro amico del Senato’ (senatore Piero Longo)”.
Contattato da ilfattoquotidiano.it, il senatore Longo smentisce su tutta la linea: “Non ho mai incontrato né conosco questi signori, non mi sono mai interessato per accreditare questo giornale. Questi signori non li ho mai sentiti nominare. Non c’è nulla di vero e neanche di verosimile”. In un altro passaggio spunta Rotondi, ministro per l’attuazione del programma. Nell’intercettazione del 2 marzo 2011, Giuseppe D’Urso parla con un soggetto che gli chiede se conosce il ministro Rotondi. Si legge nell’ordinanza: “D’Urso gli riferisce che più tardi lui e Maurizio Papaverone andranno al ministero”.
Rotondi, dal canto suo, dice: “Apprendo che questo soggetto è stato segretario provinciale della Democrazia cristiana, sciolta nel 2008, ma non l’ho mai conosciuto né incontrato nel marzo di quest’anno. Non conosco questi soggetti. Se li avessi conosciuti lo avrei detto, io non abbandono gli amici anche quando vengono arrestati per mafia. Feci questo con un senatore ed ebbi ragione di difenderlo”.
Ma chi sono questi soggetti che vantano contatti con gli onorevoli? Un gruppo di criminali, secondo la direzione distrettuale antimafia di Perugia. In rapporto con gli uomini della camorra casertana, D’Urso conosceva bene le origini dei compagni di viaggio campani. Al telefono spiegava alla sua donna che riceva i soldi da quelli là sotto che definiva ‘ i peggiori assassini di Italia’. La principale attività del gruppo è la ‘cannibalizzazione’ di società in difficoltà economiche attraverso l’ingresso di capitali di provenienza illecita, finanziati anche dal clan dei Casalesi, mimetizzandosi e contaminando le economie delle regioni del centro-nord.
L’associazione a delinquere operante in tutta Italia è stata sgominata con l’arresto di 12 persone, in 4 sono finiti agli arresti domiciliari. Sequestrati beni per un valore di 100 milioni di euro. Dall’ordinanza di custodia cautelare emergono relazioni e modalità operative del gruppo. Truffa, appropriazione indebita, riciclaggio, bancarotta fraudolenta con l’aggravante di aver favorito la camorra. Tra i cantieri finiti sotto sequestro, quello di Ponte San Giovanni a Perugia, 300 appartamenti per un valore commerciale intorno ai 50 milioni di euro. Costruzioni avviate dall’impresa Palazzetti, il cui titolare Eligio (la figlia è impegnata in politica con il Pdl, candidata non eletta alle regionali del 2010), arrivato sull’orlo del baratro, aveva ceduto il complesso immobiliare in costruzione al gruppo retto da D’Urso, per una cifra intorno ai 41 milioni di euro, solo in minima parte versati.
D’Urso viene definito dall’ordinanza il vero promotore dell’associazione a delinquere. Palazzetti, nella vicenda, risulta estraneo e vittima come altri imprenditori. “Le difficoltà in cui versano molte imprese”, scrive il gip, “inducono i titolari delle stesse a partecipare a iniziative economiche borderline, che prevedono operazioni apparentemente vantaggiose ed idonee a consentire il superamento delle difficoltà”.
Le attività economiche venivano acquisite e spolpate della sostanza economica, usate per commettere operazione illecite, per riciclare il denaro sporco ed entrare nel circuito legale. Un meccanismo usato dal gruppo di D’Urso, quest’ultimo già condannato per bancarotta fraudolenta, che aveva creato una serie di società di copertura con una rete di prestanomi e insospettabili che servivano per commettere truffe in contratti di compravendita e fornitura. Un vero e proprio polo economico che aveva investito 60 milioni di euro in pochi mesi in Umbria, Toscana e Marche.
I fondi per gli investimenti arrivavano anche dalla camorra casertana, attraverso soggetti collegati alla criminalità come Angelo Russo, Pasquale Tavoletta e Filippo Gravante, tutti e tre arrestati. Ma lo stesso D’Urso oltre a questi rapporti diretti è stato più volte fermato in auto con altri soggetti vicini ai Casalesi.