Che Silvio Berlusconi potesse presentarsi, da solo, come persona informata dei fatti, nonché parte lesa davanti ai magistrati di Napoli era un’ipotetica dell’ irrealtà, fin dal primo momento. Lo avevano pienamente confermato “l’impegno” in Europa e la trattativa truccata dall’inizio dei suoi legali con la Procura, ben consapevoli che il loro assistito non avrebbe mai potuto sostenere un interrogatorio in cui non potesse avvalersi della facoltà di non rispondere o di mentire ad libitum come è concesso in Italia all’imputato.
Nella cosiddetta memoria difensiva che dovrebbe, secondo l’interessato e i molto onorevoli difensori, rendere superfluo il colloquio, si tenta di spiegare che la presunta vittima dell’estorsione ha tutt’al più, per pura liberalità, dato mandato alla fedelissima segretaria Marinella Brambilla di prelevare dalla cassaforte domestica un po’ di spiccioli per una famiglia facoltosa caduta in disgrazia a seguito delle iniziative dei soliti magistrati “delinquenti”.
Dalle densissime telefonate con il faccendiere-giornalista Valter Lavitola appare un quadro leggermente meno improntato a quotidiana e domestica generosità. Infatti il compare di “Gianpi”, al quale smistava il grosso della “beneficenza”, in un colloquio a metà ottobre del 2009 intrattiene il presidente del Consiglio su temi decisamente più caldi, come la riproposizione del Lodo Alfano con qualche aggiustamento di facciata, in attesa che la prescrizione faccia il suo corso, e il finanziamento ai giornali amici, per esempio il suo Avanti, ma anche Libero, naturalmente.
Per impedire che il loro assistito possa trovarsi nella situazione irrimediabile di sedersi davanti a un magistrato e parlare senza rete, gli “onorevoli avvocati” sono disposti a tutto, tanto più che ormai la natura incontrovertibile dello scambio permanente tra il loro assistito e la coppia Tarantini è dettagliatamente confermata anche nella imponente documentazione depositata a Bari a chiusura dell’inchiesta sul vorticoso giro di escort per “le serate conviviali”.
Secondo Niccolò Ghedini e Piero Longo, spacciati per avvocati aggueritissimi e supertecnici del diritto penale, il premier dovrebbe essere sentito non come testimone, tenuto a dire il vero e dunque a rischio concretissimo di imputazione per falsa testimonianza, bensì come imputato di reato connesso nel processo Ruby, dove non è solo “utilizzatore” finale, ma rinviato a giudizio per prostituzione minorile e concussione.
Pur di sottrarlo al colloquio decisivo con i magistrati “delinquenti” i giureconsulti con studio ad Arcore non hanno esitato a creare nel loro codice di procedura penale da bunga bunga l’inedita figura della “connessione ad personam” a beneficio del loro cliente molto speciale.
Poco importa che i magistrati napoletani abbiano puntualmente rilevato che si tratta di un collegamento solo “in senso fattuale”, al di fuori “dell’unica ipotesi di collegamento investigativo rilevante ex art.197 cpp.” In sostanza i pm hanno spiegato che la richiesta avanzata dai difensori per il loro assistito è semplicemente irricevibile in quanto l’art.197 del codice di procedura penale attualmente in vigore prevede alla lettera A che non possano essere assunti come testimoni esclusivamente i “coimputati del medesimo reato” o di reato connesso in senso soggettivo, oggettivo o causale, tutte ipotesi non configurabili tra il processo Ruby a Milano e l’inchiesta napoletana su Tarantini & C.
Ma naturalmente si tratta di di obiezioni giuridiche sulla base della legislazione vigente e sul principio (obsoleto) che la legge sia uguale per tutti. Che cosa contano per gli artefici del corpus più imponente di leggi ad personam mai concepito in Occidente e per chi non ha altro obiettivo se non tentare con ogni mezzo l’ultima disperata spallata contro i nemici pubblici che applicano la legge?
I capigruppo del Pdl alla Camera e al Senato, Cicchitto e Gasparri hanno intimato al Csm, che dovrebbe essere l’organo costituzionale a garanzia dell’ indipendenza della magistratura dal potere politico, di “vigilare al massimo livello” nei confronti ovviamente dei pm titolari dell’inchiesta napoletana e l’offensiva anti-intercettazioni è ripartita per l’ultimo assalto.