Insomma, Don Gallo inizia fissando un record per la serie autunnale di In Onda. Nella scuola di partito che ho avuto la fortuna di frequentare da ragazzo, la mitica Frattocchie, c’era una massima che veniva insegnata come le aste dell’alfabeto: “Piazze piene, urne vuote“. Che cosa voleva dire? Che il Pci riflettendo sulla sconfitta più bruciante della sua storia, quella delle elezioni del 1948, in cui la Balena bianca della Dc aveva battuto il Fronte Popolare nato dalla Resistenza, si poneva il problema del “consenso”. E rifletteva sul fatto che la campagna elettorale più integralista e anticomunista della storia italiana (quella che ha ispirato Berlusconi) avesse prevalso, perché malgrado lo straordinario entusiasmo che aveva accompagnato il Fronte, le piazze piene non avevano prodotto un consenso comparabile.
Ebbene, ieri le piazze internautiche si sono riempite di anatemi. Sembrava che per qualcuno La7 fosse diventata il primo problema della libertà di stampa in Italia, il primo nemico da battere, una televisione di regime, peggio noi di Minzolini. Ieri, a In Onda abbiamo fatto una puntata sulla crisi che era tutta puntata sulla diversità. Due lingue, due visioni inconciliabili del mondo: Martino, l’economista iperliberista della scuola di Chicago, e Don Gallo, il sacerdote degli ultimi. Il primo convinto che i numeri siano il Vangelo, il secondo convinto che l’unico Vangelo é Gesù. Non era necessariamente un duello, ma era di fatto un confronto fra antropologie opposte. Cosa succede se due mondi inconciliabili si incontrano?
Ci siamo accorti in studio quanto fosse dirompente questo confronto: Martino – incredibilmente – non sapeva chi fosse don Gallo, e don Gallo non aveva mai visto Martino, lo chiamava “quel professore lí”, e subito dopo: “Voi corrotti della casta”. Martino ha risposto perdendo ogni flemma: “Quel pretacchione”. E poi, pensando di non essere inquadrato: “Ma che cazzo dice?”. In mezzo c’era un altro ingrediente esplosivo: la Grecia come metafora. La Grecia della crisi in cui la gente viene sbattuta in mezzo a una strada come il nostro futuro prossimo. Avevamo scommesso su questo, mandando un inviato per tre giorni a cercare storie.
Sono rimasto stupito di come questi tre ingredienti abbiano prodotto un risultato deflagrante. Quando si conduce un programma si sta un passo indietro, anche rispetto alle proprie certezze, e si ascolta. Ho ascoltato Martino, don Gallo, Porro, il grande scrittore Vassili Vassilikos, intervistato dal nostro bravissimo inviato ad Atene, David Parenzo, parlare della crisi come dell’ennesima battaglia per la sopravvivenza di un paese. In studio Martino – che avrebbe dovuto essere l’uomo dei numeri – é diventato improvvisamente un uomo di ideologia. Un uomo del centrodestra, ma anticlericale. Prima ha attaccato don Gallo dicendo che “la Chiesa fallisce i suoi obiettivi da duemila anni”, e poi ha addirittura attaccato San Francesco d’Assisi “l’uomo che ha diffuso la povertà” (giuro, non sto scherzando, ha detto davvero cosí). Anche don Gallo era anarchico, ma per nulla Angelico. Meravigliosa la sua battuta su Berlusconi: “Poverino, é un uomo afflitto da una dipendenza, lo accoglierei a braccia aperte in comunità, perché vedo che ne ha tanto bisogno” (giuro, meraviglioso, ha detto davvero così).
Non c’é sintesi possibile tra queste due visioni del mondo. Ieri abbiamo fatto 5.88 di share. Molto, tanto. Non c’era Fazio, certo. Ma mi immagino che un frammento di queste due Italie che vivono una al fianco dell’altra senza conoscersi, abbia osservato l’altra, quasi scoprendola, con stupore e sconcerto. Non so cosa penseranno, queste due italie questa sera, quando a In Onda sentiranno le domande del mondo reale al piú importante banchiere italiano. Non so dove porta questo confronto asimmetrico. So che avrei trovato la puntata bellissima anche se avesse fatto l’un per cento di share. Per me il giornalismo é – prima di ogni giudizio – il miracolo del racconto.