Dalle carte dell'inchiesta Metallica emergono i rapporti societari di Ignazio La Russa con Sergio Conti condannato per usura con l'aggravante del metodo mafioso. La notizia è contenuta ne libro Le mani sulla città che racconta rapporti e infiltrazioni della 'ndrangheta in Lombardia
Qui di seguito un estratto del libro Le mani sulla città edizione Chiarelletere
Una brutta storia di usura ed estorsioni che ha per protagonista Pepè Onorato, boss della ’ndrangheta con un lungo curriculum criminale, e che sfiora Ignazio La Russa, allora deputato di Alleanza nazionale, e un suo fedelissimo, Massimo Corsaro, assessore alla Regione Lombardia e poi deputato Pdl. La Russa e Corsaro sono soci, almeno fino al 2010, di un imprenditore imputato per estorsione e condannato in primo grado: insieme dividono le quote delle società che controllano due locali di Milano, il Gibson Bar e l’Enoteca Gibson, che si affacciano ai due angoli di via Ristori con via Castel Morrone.
L’imprenditore è Sergio Conti, ex titolare di garage, che nel 2010 è stato condannato in primo grado nel processo «Metallica» a 6 anni di carcere per estorsione, aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso. Questa storia inizia nei primi anni 2000, quando «il Gibson Bar − come dice in aula il pm Celestina Gravina − diventa il bar di elezione dell’avvocato, ma già onorevole, Ignazio La Russa, che lo frequentava con il suo entourage». Il Gibson «diventa un po’ il luogo di ritrovo di An e quindi ci sono feste e bella gente».
Il titolare del Gibson, Daniele Salton, è pieno di debiti ed è in mano agli usurai. Dopo qualche tentativo di tornare ad avere il controllo della situazione, è costretto ad abbandonare. Gli subentrano nuovi soci, tra cui Sergio Conti, che entra in confidenza con gli uomini di An che frequentano il locale, tra cui Massimo Corsaro. Conti chiede a Corsaro di entrare addirittura in società. L’assessore ci sta e coinvolge nell’affare anche l’amico Ignazio La Russa.
Conti vanta un credito di circa 300.000 euro nei confronti del precedente proprietario e dei suoi due soci, Luigi Ciriello e Claudio Motterlini. Tenta in tutti i modi di recuperare i soldi, ma non ci riesce. Salton, Ciriello e Motterlini non pagano: sono «i tre che hanno truffato un bar», come li definisce il collaboratore di giustizia che racconta questa brutta storia, Luigi Cicalese. Allora Conti si rivolge agli specialisti: il boss Pepè Onorato e i suoi uomini. Per il recupero crediti entra in azione Emilio Capone, un salernitano che tiene molto all’eleganza, insieme ai luogotenenti di Onorato, Antonio Ausilio e Vincenzo Pangallo detto Jimmy. L’accordo è che la cifra recuperata, come si fa in questi casi, venga divisa a metà: 50 per cento al creditore, Conti, 50 al gruppo di Onorato.
Daniele Salton, terrorizzato, si nasconde e spedisce la famiglia in una località segreta. Luigi Ciriello, avvicinato dalla banda di Pepè, decide che è meglio pagare e comincia a versare agli «esattori» di Onorato la sua quota (un terzo del debito totale): a rate, il 10 di ogni mese. In verità, in questa storia, estorti ed estorsori fanno a gara a chi è più «zanza»: Ciriello infila in una rata anche una banconota da 500 euro falsa. Ma non gli va dritta: gli uomini di Pepè se ne accorgono e lo obbligano a cambiarla con una vera. Il terzo debitore, Claudio Motterlini, se la cava facendo un bel patto con gli «esattori»: si vende Salton, rivelando dov’è nascosto, in cambio dell’azzeramento della sua parte di debito. Così, grazie alla spiata di Motterlini, nel 2008 Salton viene scovato.
Dopo qualche trattativa, Conti gli chiede un incontro, che avviene in piazza Napoli, a Milano, davanti al cinema Ducale. Non proprio un appuntamento tra galantuomini: entrambi arrivano spalleggiati da «amici», Conti si presenta accompagnato dagli uomini dell’Ebony, il quartier generale di Pepè Onorato, che lo rendono molto più convincente. La storia s’interrompe poco dopo, l’8 luglio 2008, quando gli uomini della Direzione investigativa antimafia guidati dal maggiore Armando Tadini arrestano Pepè Onorato e tutta la sua banda. Segue il processo «Metallica», in cui anche Conti viene condannato. La Russa e Corsaro però non si scompongono: restano in società con Conti, nella Gibson Vini e nella Gibson Immobiliare.
di Gianni Barbacetto e Davide Milosa