In 60 alloggiano da quattro mesi in un hotel di San Zenone del Lambro. Arrivano dal Nord Africa e ora protestano per il cibo scadente e perché non hanno mai ricevuto i 2,50 che secondo le norme dovrebbero avere ogni giorno. Così non possono chiamare il loro Paese per dire che stanno bene
Vicino a Milano è emergenza profughi. Dal 13 maggio scorso in 60 alloggiano all’hotel Ambra di San Zenone al Lambro. Arrivano dal Niger, dalla Costa d’Avorio, dal Mali, dal Congo, dal Pakistan e dal Bangladesh. Sono giunti in concomitanza con quelli che ora alloggiano al Residence Ripamonti di Milano. E ora protestano.
Le lamentele sono partite dal cibo, giudicato troppo scadente. Ma è soprattutto l’isolamento a cui sono costretti a creare i maggiori malumori. Pur avendo un permesso di soggiorno temporaneo, non hanno infatti possibilità di muoversi. Questo perché non hanno i soldi per comprare biglietti di treno o autobus. E non hanno alcuna possibilità di acquistare carte telefoniche per chiamare casa e dire che stanno bene. Nonostante ogni profugo richiedente asilo dovrebbe ricevere, secondo le norme, un pocket money di 2 euro e 50 al giorno. Che però nessuno ha dato loro. Almeno finora.
Solo qualcuno è riuscito a chiamare nel proprio Paese con Skype. O con un cellulare messo a disposizione temporaneamente dal proprietario della struttura o da qualche altro ospite italiano della stessa. Eppure secondo le direttive diramate l’1 settembre dall’Ente gestore delle strutture di accoglienza dell’emergenza profughi dal Nord Africa, ovvero la Protezione civile della Lombardia, il pocket money deve essere dato a ogni profugo. Il vice prefetto vicario della Provincia di Milano, Emilio Chiodi, il 14 settembre scorso – dopo la protesta scoppiata due giorni prima – è andato a San Zenone a confermare questa novità. Ma è stato stabilito che l’erogazione avverrà, dal primo di ottobre e per un mese, come onere aggiuntivo per il proprietario della struttura. E successivamente peserà sulle casse dell’Assemi, l’Azienda sociale sud est Milano.
Nella direttiva di settembre della Protezione civile era detto che il poket money “sarà da erogare a cura della struttura ospitante” e servirà “per l’acquisto di tessere telefoniche, bolli postali, snack alimentari, sigarette, giornali”. Salvo poi specificare che ai profughi non dovrà essere dato denaro contante, ma “carte prepagate”. A inizio emergenza i proprietari degli hotel avevano firmato un contratto con la Protezione civile che stabiliva per loro un compenso a persona ospitata: in cambio dovevano garantire vitto e alloggio e servizi minimi essenziali. “Non è nominato nessun pocket money – dice Carlo Omini, proprietario dell’Ambra Hotel di San Zenone – per cui sino a questo momento mi sono attenuto scrupolosamente alla convenzione firmata a inizio emergenza”.
In attesa che il pocket money inizi ad arrivare, i 60 profughi dell’hotel Ambra continuano le proteste iniziate il 12 settembre scorso, quando hanno occupato il cortile e le strade adiacenti la struttura. Per prima cosa si sono lamentati del pasto servito: un passato di verdura con crostini a loro dire immangiabile. Contro lo chef sono stati lanciati alcuni oggetti, dopo di che è sono intervenute la polizia e la Croce rossa. Sul posto si è precipitato pure il sindaco di San Zenone al Lambro, Sergio Fedeli, che ha commentato: “Qui siamo di fronte a una bomba pronta a esplodere”.
Chi da tempo denuncia una situazione al limite, è lo Sprar (Servizio protezione richiedenti asilo-rifugiati). L’ente, coordinato dall’Anci e dal ministero dell’Interno, ha una critica per tutti. Per l’ente gestore e le sue direttive giunte in ritardo, e per i proprietari delle strutture di accoglienza, che dovrebbero essere più celeri e puntuali nella fornitura dei servizi. “Nelle ultime direttive – dice Marco Zanetta del centro Sprar di Breno, in provincia di Brescia – viene specificato che a ciascun profugo venga fornito un kit di igiene personale, che deve comprendere: dentifricio, spazzolino, pettine, carta igienica, sapone liquido e shampoo”.