Il costo della politica è scandalosamente alto. Il costo del potere è ancora più alto, al punto da sfuggire a ogni misurazione, previsione o controllo. Infatti solo in parte limitata è costo contabile. Per il resto, ovvero una parte immensa, è costo in natura, ovvero nelle persone, nelle cose, nelle decisioni, nei fatti che compongono il quadro, del tutto invisibile, dell’esercitare il potere. S’intende che non si può usare un argomento per accantonarne un altro. I due costi si sommano e anzi si moltiplicano fra loro, e indicano abissi ben più profondi del costo della barberia della Camera o della lista prezzi al ristorante del Senato. Ma una volta stabilito che tutto conta, e si somma e si moltiplica, come ricorda l’ultimo libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, Licenziare i Padreterni, l’Italia tradita dalla Casta (Rizzoli) che va a esplorare molti aspetti, angoli e situazioni che si pretendevano ignote, e le indica con scandalosa chiarezza, resta da capire (o meglio da dire) dove sei e cosa fai. Se questo fosse un diario (o la scaletta di un film) comincerei con tre sequenze, viste (starei per dire “filmate”) nel pomeriggio del giorno 14 settembre, quando, come hanno poi scritto pacatamente i giornali, “è stata approvata la manovra”.
Montecitorio: polizia attorno ai disabili
Nella prima sequenza (ore 14) si vede la piazza calda e assolata di Montecitorio presidiata da una fitta cintura di polizia, uomini in tenuta da scontro, che chiedono il tesserino di identificazione persino a un deputato che esce dall’edificio della Camera. Sulla piazza ci sono due giovani disabili, Luca Faccio e Alessandra Incoronato, infaticabili difensori di diritti, per non permettere che i disabili vengano dimenticati o – peggio – puniti come per una colpa. Mi dicono, e dichiarano con il megafono, che intendono contribuire alle dilapidate risorse del Paese in pericolo versando al governo, ciascuno, un contributo uguale all’assegno mensile che ricevono per sopravvivere, 268 euro. La polizia li ha già trattenuti il più indietro possibile, ma questo li costringe a restare al sole. Vogliono restare e testimoniare sulla follia che, con tanti altri cittadini, stanno vivendo. Tagli pesanti stanno infatti abbattendosi sui disabili che non vorrebbero lasciarsi accantonare nella finzione di non esistere.
Sul fondo un centinaio di giovani e pensionati, uomini e donne con bandiere dei Cobas, hanno voglia di parlare del senso di ansia e di rabbia che provano per la “manovra” che una maggioranza del tutto indifferente e ancora ossequiosa di un padrone, sta per approvare col voto di fiducia. Quando torno sulla piazza per una seconda visita, la “produzione” di questo strano film ha già cambiato completamente la scena. I due giovani disabili non ci sono più, piazza Montecitorio è bloccata da automezzi ammassati l’uno contro l’altro in modo da impedire a chiunque di entrare, ma anche di uscire dal cerchio. Al di là si intravedono appena le bandiere di gente che, allo stesso modo, si sente espropriata. La carica avviene perché deve avvenire, con pestaggi e petardi, in modo da poter parlare di accordo fra cittadini esasperati e partiti che si stanno opponendo in tutti i modi alla “manovra”. La scena della sera, quando è già buio, sembra ripetere la sequenza finale del Caimano di Nanni Moretti: l’auto dell’ex potente che si allontana dalla scena del disastro. Se osservate ciò che resta intorno a Montecitorio dopo la battaglia con (contro) i cittadini, la somiglianza è impressionante. Ma nella sera che sto descrivendo siamo subito prima, non subito dopo la caduta. Apparentemente il potere è ancora intatto, ed è qui che usciamo dalla suggestione di Moretti per entrare nella rappresentazione documentaria e realistica di Stella e Rizzo. Nella notte di Roma le auto del potere sono talmente tante che tutto il centro è bloccato e chi avesse una telecamera potrebbe riprendere questa scena: nello spazio percorribile lampeggiano dal tettuccio le luci blu delle auto di servizio.
Dopo gli scontri, la notte delle auto blu
Ai bordi del buio, si intravedono i taxi fermi, i guidatori a terra, a guardare. Persino loro, gli scettici e disincantati tassisti di Roma, sono increduli e meravigliati. Un’ambulanza, con la sua patetica sirena che segnala un malore, tenta invano di passare. Nessuno potrà interrompere lo scorrere, nella notte, tra lampi blu, delle cinque automobili (staffetta, scorta, auto presidenziale, scorta) del presidente del Consiglio, seguite dalla sgommata delle scorte da tre, da due e poi dalla scorta di una sola auto blindata. Quanto costa? S’intende che la domanda non è “invece di”. È una paurosa addizione, anzi una moltiplicazione, che ha la capacità naturale di crescere per due ragioni raramente citate: il conflitto di interessi e la mancanza totale di trasparenza. Infatti è l’opacità, la mancanza di trasparenza, quell’ossessione dei Radicali che ti dicono che l’accurata segretezza partitica e politica è l’origine di tutto (e non è cominciata con Berlusconi). Se la scena notturna che ho descritto, oltre che le luci blu sulle auto di scorta, mostrasse, nella notte, una ramificazione di linee rosse (la spesa) quella ramificazione apparirebbe enorme perché è generata dall’esercizio del potere oscurato due volte, dal conflitto di interessi (che è il dono malefico di Berlusconi all’Italia della cosiddetta Seconda Repubblica) e dalla generale e scrupolosa mancanza di conoscenza da parte dei cittadini dei costi del potere, che sono il costo del costo della politica, ovvero costi che generano costi fin dove non è più possibile dire se si tratti di legge, di amministrazione, di arbitrio, di abuso, di ingiusto vantaggio o di privilegio auto-elargito.
Sia chiaro: se ne può uscire solo bloccando la scena, subito dopo l’abolizione dell’attuale legge elettorale, adattissima al sistema del contenitore opaco, che rende tutto invisibile. Se questo avviene, attesa e speranza sono che il costo (e il costo del costo) della politica diventino I’argomento più importante, più condiviso della campagna elettorale, per portare il governo ai cittadini e i cittadini al governo. Dall’interno dell’edificio, così com’è oggi, a regole immutate, nulla accadrà e nulla potrebbe accadere. Basti pensare che il presidente del Collegio dei Questori della Camera dei deputati (i controllori delle spese) è la stessa persona, il deputato Colucci, che era presidente del Collegio dei Questori quando il presidente del Consiglio era, prima della caduta, Bettino Craxi.
Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2011