La confidenza di Nicola Mandalà è riportata dal pentito Stefano Lo Verso ed è contenuta nel ricorso in appello dei pm di Palermo contro l'assoluzione di Totò Cuffaro dall'accusa di concorso esterno. Il ministro delle Politiche agricole, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio con lo stesso capo di imputazione, replica: "Cose già note e ricorrenti a orologeria"
“Abbiamo nella mani Saverio Romano e Totò Cuffaro”. La confidenza, risalente al 2003, arriva da un boss di primo piano, Nicola Mandalà (capomafia di Villabate, alle porte di Palermo) attraverso le parole di Stefano Lo Verso, pentito di mafia e già vivandiere di Bernardo Provenzano. Una confidenza che salta fuori proprio nei giorni in cui Silvio Berlusconi e Romano stanno decidendo una exit strategy dal governo prorpio del ministro delle Politiche agricole, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il passaggio con la confidenza del boss è contenuto nel ricorso in appello dei pubblici ministeri di Palermo Nino Di Matteo e Francesco Del Bene contro l’assoluzione di Cuffaro dall’accusa di concorso esterno in associzione mafiosa. Al gup è stato trasmesso un dossier che contiene le rivelazioni di Lo Verso e nuovi interrogatori di Francesco Campanella, che già in passato aveva accusato l’esponente dei “Responsabili”. Il pentito Lo Verso dice anche di aver avuto conferma delle confidenze di Mandalà da un suo compagno di cella e che le dichiarazioni fatte da Campanella “sui legami tra Romano e la famiglia mafiosa di Villabate erano vere e che i rapporti erano mediati da Nino Bruno, cugino di Nicola Rizzo, arrestato nell’operazione “Grande mandamento”.
La vicenda, in particolare, riguarda la richiesta di un compaesano di Lo Verso, Mimmo Angileri, che voleva costruire una chiesa a Villabate. Così avrebbe chiesto a Lo Verso di attivarsi attraverso “i suoi canali”. E il pentito si sarebbe rivolto a Mandalà che lo ha rassicurato che “non c’erano problemi” dal punto di vista politico, neppure a livello regionale e nazionale. “Non abbiamo nessun problema neppure con i partiti del centro”. E un’ulteriore conferma, questa volta ai massimi livelli, degli accordi con personaggi politici arriva addirittura da Bernardo Provenzano in persona. Lo Verso, infatti, preoccupato di tenere in casa un superlatitante, ha ricevuto rassicurazioni dal padrino corleonese: “Non ti preoccupare, anche se hanno arrestato l’ingegnere, c’è Totò Cuffaro che deve mantenere gli accordi, Nicola Mandalà lo sa”.
Infine Lo Verso, che ha condiviso la cella anche con l’ingegnere Michele Aiello, il “re mida” della cliniche siciliane, ha raccontato anche di un suo presunto sfogo: Aiello avrebbe parlato dell’allora ministro degli Interni Beppe Pisanu come della talpa che aveva avvisato Cuffaro dell’inchiesta e si sarebbe lamentato del fatto che “lui e Totò erano sotto processo”, mentre “il ministro sardo che aveva avvertito Totò non era stato perseguito”. Aiello avrebbe poi aggiunto che Cuffaro gli aveva detto di aver appreso dal ministro che “cercavano il latitante”. E, il latitante, altri non sarebbe che Provenzano.
”Sono cose già note e già riportate dai media, inutili ma ricorrenti ad orologeria”. Così il ministro commenta le dichiarazioni del pentito Lo Verso. “Dopo otto anni che la mia vicenda è sui giornali – prosegue il ministro – in tanti hanno ‘sentito dire’ che…, non solo Lo Verso”.