Se i politici sono tutti uguali, è perché gli elettori sono tutti uguali. Nel 1946 il popolo ha abolito la monarchia solo per poter diventare lui il sovrano (“La Fattoria degli Animali” docet); e di elezione in elezione, l’elettorato italiano si è distinto per il suo spiccato cattivo gusto. Adesso gli elettori fanno i delusi, gli indignati, gli “anti-politica”, e si auto-assolvono gridando al regime; ma siamo in un paese democratico, quindi è l’elettorato il responsabile del disastro nazionale.
Ecco perché non possiamo più lasciare il Paese nelle mani degli elettori. La situazione è grave, e lo è per colpa nostra. D’altronde, la democrazia è una cosa troppo importante per essere lasciata al popolo.
Abbiamo bisogno di un governo serio e competente, che NON ci rappresenti. Solo così possiamo uscire dalla crisi e dalla vergogna in cui ci siamo impantanati.
Dunque io sostengo e invito a sostenere un governo tecnico; perché un governo che nessuno ha votato merita la nostra fiducia.
Un governo finalmente non composto da politici e nemmeno da rappresentanti della società (in)civile, bensì da funzionari grigi, anonimi ma qualificati, liberi dal ricatto del voto, che non scopano e che i soldi li contano solo, senza intascarli. Un governo che non fa politica ma algebra. Insomma, un governo tecnico. Questa, oggi, sarebbe già la rivoluzione.
Personalmente poi, trovo l’ipotesi di un governo tecnico così rilassante! Essere governati da un governo che non hai scelto, e di cui quindi non ti puoi pentire né sentire deluso, ma che non è nemmeno tuo avversario, risparmiandoti così indignazione e opposizione; non essere né maggioranza né minoranza nel Paese, mi sentirsi finalmente deresponsabilizzati… Ma non è meraviglioso?
Diciamoci la verità, il governo tecnico è proprio bello!
Inoltre, oggi un governo tecnico non è solo necessario, è anche di buon senso, per non dire di buon gusto: ma come si fa a chiamarci al voto e chiederci di scegliere fra questi?
W DRAGHI! W MONTI!! W MAO-TSE-TUNG!!!
di Saverio Raimondo
Il Misfatto, inserto satirico de Il Fatto quotidiano, domenica 18 settembre 2011