Giornata nera per il procuratore di Bari Antonio Laudati, messo sotto indagine dai colleghi di Lecce e accusato davanti al Csm di aver avviato “un’inchiesta parallela” sul delicatissimo caso Tarantini, gestito dai suoi sostituti. Laudati è indagato per abuso d’ufficio, favoreggiamento e tentata violenza privata nei confronti del suo ex pm, Giuseppe Scelsi. Il procuratore si sarebbe adoperato per rallentare la chiusura delle indagini sulle escort che Gianpaolo Tarantini portava nelle residenze del premier Silvio Berlusconi.
Il caso è stato sollevato dall’ex pm Giuseppe Scelsi, titolare dell’inchiesta escort fino al trasferimento in Procura generale, avvenuto a giugno. Secondo un esposto presentato da Scelsi al Consiglio superiore della magistratura, Laudati avrebbe ostacolato le indagini e accelerato il suo trasferimento, anche in seguito a pressioni del governo.
Sentito ieri dalla prima commissione del Csm, l’ex pm ha confermato, aggiungendo nuovi particolari, quanto aveva già detto nell’esposto e in una deposizione resa il 17 settembre davanti alla procura di Lecce, l’ufficio giudiziario che per competenza indaga su Laudati. Secondo il racconto di Scelsi, Laudati, arrivato a Bari nell’estate del 2009 quando il caso Tarantini-D’Addario-Berlusconi era già esploso, avrebbe, tra l’altro, avviato un’indagine parallela con accertamenti “extra” svolti da militari della Guardia di finanza a lui fedeli. Stando a quanto narrato da Scelsi e da altri testimoni Laudati, ancor prima di prendere possesso del suo incarico, avrebbe inoltre partecipato a una riunione con gli investigatori invitandoli sostanzialmente a bloccare tutto. Il magistrato ha sostenuto che il neo procuratore si presentò con “un amic0” dell’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano e che spiegò di essere stato inviato a Bari dal ministero.
Comunque stiano le cose restano due fatti: dopo il suo arrivo, Laudati affiancò a Scelsi i colleghi Eugenia Pontassuglia e Ciro Angelillis e l’inchiesta su Tarantini e le escort, invece che essere chiusa immediatamente come previsto, fu tenuta aperta per altri due anni. Evitando così che diventassero pubblici i suoi contenuti più imbarazzanti.
Anche la dottoressa Pontassuglia è stata ascolta a Lecce. La sua deposizione, con quella di Scelsi, è stata alla base della decisone di mettere sotto inchiesta Laudati che giovedì sarà anche sentito dal Csm, dove rischia pesanti sanzioni disciplinari.
Ma ecco cosa hanno dichiarato davanti ai pm di Lecce Pontassuglia e Scelsi:
La tesi del complotto ai danni di Berlusconi
E’ stato a lungo un cavallo di battaglia del centrodestra. Panorama ne fece persino una copertina sostenendo che a Bari si indagava su un presunto complotto che avrebbe portato Patrizia D’Addario nelle stanze di Palazzo Grazioli, armata di registratore.Eugenia Pontassuglia però sostiene, che la questione del complotto fu in qualche modo suggerita a Tarantini dallo stesso Laudati.
“Durante un interrogatorio”, ha ricordato la pm, “chiesi a Tarantini come mai parlasse di complotto e lui, guardando interrogativamente l’avvocato Quaranta, gli chiese quasi a chiederne conferma, se non si trattasse di uno degli argomenti in merito ai quali avrebbe dovuto riferire. E l’avv. Quaranta, dandogliene conferma, disse che effettivamente si trattava di uno degli argomenti che gli erano stati indicati dal dott. Laudati come temi da approfondire. Ricordo che si fece riferimento ad un foglietto sul quale l’avv. Quaranta aveva annotato le indicazioni ricevute dal dott. Laudati e che aveva consegnato a Tarantini.Mi pare di ricordare – dichiara ancora la testimone – ma non ne sono certa che Tarantini tirò fuori dalla tasca un biglietto con degli appunti”.
Gli atti non devono uscire
A parlare è ancora Pontassuglia e a spiegare come fosse ”evidente” che l’avvocato Quaranta, difensore di Tarantini, voleva “evitare la discovery degli atti” relativi all’inchiesta sulle escort. “Mi risulta – spiega il magistrato – per averlo appreso dal dott. Angelillis che tra la fine di giugno e gli inizi di agosto di quest’anno, l’avv. Quaranta, incontratolo nel corridoio, gli aveva prospettato la possibilità, in relazione al filone escort, di un patteggiamento da avanzare nell’interesse di Tarantini, specificando che sarebbero stati disponibili a patteggiare ma solo a condizione che fosse fatto prima della formulazione da parte nostra dell’avviso di conclusione delle indagini. Era evidente che scopo del difensore era quello di evitare la discovery degli atti non essendosi evidentemente accorto, come riferii al collega che mi aveva riferito della proposta dell’avvocato, che essendovi vari coindagati di Tarantini era comunque inevitabile la discovery, a meno di ipotizzare una richiesta di patteggiamento di tutti gli indagati”.
La fuga di notizie
In un passaggio della deposizione resa il 17 settembre, Pino Scelsi parla dell’arrivo di Laudati a Bari e dei primi contatti con lui.
“Laudati mi disse che a Roma si era sparsa Ia voce che la fuga delle notizie pubblicate sui Corriere della Sera riguardanti il collegamento tra la D’Addario e Tarantini, prcceduta dalle dichiarazioni dell’On. D’Alema (che in un incontro televisivo con la giornalista Annunziata sulla rete RAI 3 aveva fatto riferimento alle scosse che a presto avrebbero riguardato ambienti di Governo) era a me addebitabile o che comunque io avrei contribuito alla pubblicazione di quelle informazioni. Risposi a Laudati che non avrei avuto alcun interesse a danneggiare la mia indagine con improvvide rivelazioni e che peraltro dalla stessa indagine risultava che Tarantini era legato ad ambienti vicini all’area politica dell’On. D’Alema. In quella stessa occasione o forse successivmenente feci presente al collega Laudati che io personalmente avevo avuto richieste di informazioni da parte dell’On. Alberto Maritati, vicino all’ambiente dell’On. D’Alema, e che avevo categoricamente rifiutato di dare notizie, come tra l’altro risultava da alcune conversazioni intercettate sull’utenza di Roberto De Santis, persona assai vicina all’On.D’Alema e suo compagno di barca. Daile conversazion intercettate, infatti. risultava sia l’incarico dato da De Santis all’on. Maritati di raccogliere informazioni sulla vicenda per la quale erano state disposte le perquisizioni, sia la risposta dell’on.Maritati che aveva riferito a De Santis della impossibilità di avere alcuna informazione stante la mia categorica chiusura. Oltre che al dott. Laudati riferii di quest’episodio anche al Procuratore dell’epoca Dr. Marzano, forse al Procuratore Aggiunto Marco Di Napoli e certamente l’episodio fu oggetto di commento con i finanzieri che seguivano l’intercettazionc di De Santis”.
Laudati e l’amicizia con Alfano
“Laudati fece un discorso molto chiaro dicendo che era molto amico del ministro della Giustizia, che ‘gli aveva concesso l’onore del tu’, e che in virtù di questa amicizia aveva garantito per me così impedendo l’avvio dell’attività ispettiva sul mio operato. Aggiunse che era stato mandato a Bari per conto del ministro della Giustizia e che era necessario costituire un organo che sovraintendesse alle indagini in corso, in particolare a quelle sulla vicenda Tarantini. Precisò che era abituato a portare a casa un risultato dalle riunioni cui partecipava. Ricordo che nell’occasione il gen. Bardi si lamentò vivacemente con il col. D’Alfonso per non essere stato da lui informato sull’andamento delle indagini su Tarantini: il tono era particolarmente duro e creò un clima di forte intimidazione nei confronti di ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza. Ritenni di intervenire a favore di D’Alfonso dicendo, come in realtà era accaduto, che lo stesso D’Alfonso, come responsabile delle indagini delegategli quale comandante del Nucleo di Polizia Tributaria, aveva solo rispettato le disposizioni di procedura penale e le mie specifiche direttive di assoluta riservatezza anche all’interno della scala gerarchica del corpo”
Per Laudati non c’era reato di prostituzione
Ancora Scelsi parla di fronte ai magistrati di Lecce e racconta:
“Subito dopo la coassegnazione il dott. Angelillis prospettò l’ipotesi dell’impossibilità di configurare reati in materia di prostituzione visto il risultato di una sua ricerca giurisprudenziale. L’orientamento del collega corrispondeva a quello del procuratore Laudati, perché so che quest’ultimo aveva manifestato le sue perplessità sulla possibilità di configurare quei reati riferendone, per quel che ne so e se non ricordo male, al presidente del Tribunale di Bari dott. Savino, al procuratore generale presso la corte d’appello dottor Pizzi e forse al presidente della stessa corte, perché quest’ultimo nel suo discorso inaugurale del gennaio 2010, secondo quanto riportato dalle cronache giornalistiche, aveva fatto riferimento ad una spesa rilevantissima della procura della Repubblica di Bari per intercettazioni relative a fatti non costituenti reato. Le perplessità del dottor Angelillis furono rappresentate anche alla collega Pontassuglia, ma sia io che lei ritenemmo necessario approfondire il tema attendendo di avere il quadro completo dell’indagine”.
Laudati si fa la sua squadra
“Con la presa di servizio da parte del Procuratore Laudati questi manifestò l’esigcnza di costituire un coordinamento presso la sua segreteria mediante la costituzione di un contingente della Guardia di Finanza a sua disposizione, nonché di una banca dati in cui dovevano confluire le copie delle indagini fatte in materia di sanità, nonché le vecchie intercettazioni e le nuove che si andavano facendo. Tale banca dati fu costituita presso la Scuola Allievi della Guardia di Finanza dove un intero corridoio di uno degli ultimi piani era occupato dagli atti, dai terminali informatici presso i quali avveniva la remotizzazione dell’ascolto delle intercettazioni (trasferiti dal Nucleo di PT che non potè pù accedere alle intercettazioni) e degli atti di indagine che man mano si andavano espletando”.